La lite in strada e l'aggressione| Moglie e figli del boss a processo - Live Sicilia

La lite in strada e l’aggressione| Moglie e figli del boss a processo

Aggrediti i parenti di un agente, ora sotto protezione. La donna disse: "Ti faccio scippare la testa"

IL CASO A PALERMO
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PALERMO – La violenza è esplosa per una banale lite fra automobilisti. Calci, pugni, ginocchiate. Vittime un giovane, figlio di un rappresentante delle forze dell’ordine, e la madre. Sotto processo sono finiti una donna, i suoi due figli e un loro amico. Sono imputati per lesioni personali aggravate.

Il pubblico ministero Federica La Chioma, lo scorso settembre, ma LiveSicilia apprende oggi la notizia, ha firmato il decreto di citazione diretta nei confronti di Raimonda Ammirata, Michele e Francesco Paolo Giannusa, e di Dino Alessio Scrivano.

I primi tre sono la moglie e i figli di Sergio Giannusa, mafioso di Resuttana, uno degli scarcerati per fine pena su cui non si sono mai spenti i riflettori investigativi. Non è un particolare di poco conto, visto che i legami con l’esponente di Cosa Nostra, a giudicare dalle parole usate, sarebbero stati urlati in faccia alle vittime per intimidirle. Da allora su di loro vigila una rete di protezione, su iniziativa del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica.

Questi i fatti ricostruiti nel corso delle indagini. Nel marzo del 2017 un giovane arriva in auto in via Villa Giocosa, una strada del rione San Lorenzo. Dà la possibilità alla madre di scendere il più vicino possibile allo studio medico dove deve farsi controllare il piede, da poco operato. Sul posto transita una Mercedes Classe A. Alla guida c’è Ammirata. Urta lo specchietto retrovisore della macchina parcheggiata, lo rompe, sfiora la donna e prosegue la marcia. Ammirata si ferma cento metri più avanti. Il  giovane la raggiunge: “Signora non si è accorta che mi ha rotto lo specchietto?”, dice e subito dopo annota il numero di targa.

Ammirata non la prende bene. Inizia a urlare: “Tu non sai chi sono io, ora ti faccio scippare la testa, chiamo a mio figlio, ti faccio scippare la testa e ci faccio giocare i bambini per strada… piscitelli i cannuzza… tu non sai chi è mio figlio”. Il giovane mantiene a lungo la calma. Poi si lascia andare ad un commento: “…cosa m… ne devo sapere chi è tuo figlio”. Interviene sua madre, dice alla donna di andare via. Basta, non vuole pagati neppure i danni.

Sembra tutto finito. Sembra, appunto. Passano pochi minuti. La mamma, che nel frattempo è entrata nello studio medico, sente urlare. Sì precipita in strada: “Mio figlio era a terra pestato da tre malviventi”.

Volano pugni in faccia, calci in pancia e una ginocchiata sul mento. Lo scaraventano contro il muro. Non viene risparmiata neppure la madre, una signora di mezza età, che ha cercato di fermarli dicendo che suo marito era un rappresentante delle forze dell’ordine. Le chiudono lo sportello contro le gambe, poi la spingono contro il cofano ed infine le pestano il piede ferito. Madre e figlio riporteranno traumi che i medici del pronto soccorso di Villa Sofia giudicheranno guaribili in trenta e venti giorni.

Sul posto giunge una pattuglia di poliziotti che identificano aggressori e aggrediti. I Giannusa raccontano una versione diversa. Michele denuncia il giovane. Sostiene di essere stato aggredito per primo e minacciato: “Mio padre ha la pistola, ti ammazza”. La denuncia ha portato all’apertura di un’inchiesta a carico del giovane, archiviata perché il racconto di Giannusa non è stato ritenuto attendibile. E ora, dal prossimo marzo, i parenti del mafioso si troveranno sotto processo.

 

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