Che la mafia faccia schifo è stato detto in tante, svariate salse. Che la mafia produca schifo, e pessime salse, lo si ricorda molto meno. Prendiamo il caso della ristorazione di qualità, che come tutti sanno non è più roba da snob nullafacenti ma uno dei segnali più forti del grado di civiltà di un territorio. In Sicilia, a uno che ha un ristorante non solo viene imposto il pizzo, dunque costi di gestione che salgono a dismisura, ma spesso anche personale non competente, pessime materie prime, vini di second’ordine. E però un locale che si rispetti è fatto anche di economie al mercato, selezione di prodotti di nicchia, elenchi di bottiglie costruiti con cura, gestione oculata delle risorse.
La cosa non può non venire in mente adesso che Natale Giunta, uno dei migliori chef e imprenditori della nostra ristorazione, avendo eroicamente denunciato i suoi estorsori rischia quotidianamente, oltre che il suo neonato ristorante, la vita stessa. Ciò su cui non si riflette abbastanza è che questo suo gesto, come sempre in casi simili, è fortemente simbolico, funziona cioè come segno di riscatto non solo per sé ma per tutta la categoria. Si tratta di un grande passo in avanti per la qualità della ristorazione siciliana, e palermitana in particolare, che nonostante alcuni recenti successi è ancora molto indietro rispetto a tante altre regioni d’Italia. E in un momento in cui una delle poche cose che economicamente tira nel made in Italy è l’export di buon cibo nel mondo, il caso Giunta assume fattezze importanti. Gastronomiche, culturali, politiche, economiche.
Così, stupisce di non aver letto, in queste ore difficili, di lunghe cordate di ristoratori, imprenditori dell’agroalimentare, cultori dell’enogastronomico, assessori e dirigenti del settore, associazioni di categoria, giornalisti esperti e blogger amanti del buon cibo d’ogni ordine e natura che esprimano fattivo sostegno verso il collega in difficoltà. Pochi sorrisi di circostanza, molti silenzi imbarazzati, moltissimi distratti. Ma siamo ancora in tempo: basterebbe anche un avviso di solidarietà affisso nel proprio locale, un banner sul siti, due righe sul giornale, una seria raccolta di firme. Se l’uomo d’onore non paga il pizzo, come recitava il fortunato titolo d’un libro recente, è ora che facciano altrettanto anche le migliaia di gourmet che s’agitano fra degustazioni raffinate e mercatini biologici, chef stellati e menu al chilometro zero. Ne va dei nostri stomaci, ma forse anche del nostro futuro.
*Coordinatore del Master universitario in Cultura e Comunicazione del Gusto