CITTA’ DEL GUATEMALA- Arrivato al suo secondo mese di soggiorno in Guatemala, Antonio Ingroia, procuratore aggiunto della Repubblica attualmente fuori ruolo, torna a parlare, dalle pagine del Fatto Quotidiano, dei rapporti tra magistrati e società civile, e dell’importanza di una società civile virtuosa perché la lotta al crimine organizzato dia risultati concreti. Il pm, noto ai più per aver coordinato le indagini che hanno portato al processo sulla trattativa Stato-mafia, è partito per il Guatemala dopo aver ricevuto dall’Onu l’incarico per dirigere un’unità investigativa contro il narcotraffico. Il Guatemala, scrive Ingroia, gli ha insegnato una lezione già appresa in Sicilia, e cioè “che nessuna azione di contrasto contro qualsiasi forma di potere mafioso può vincere senza il sostegno della società civile”.
“Quando Falcone rievocava con nostalgia il momento in cui la gente faceva il tifo per i giudici, alla base della sua considerazione non vi era la ricerca di sostegno alle sue indagini. Non cercava sentenze a furor di popolo.” Lo stesso maxi-processo, ricorda Ingroia, fu reso possibile dall’introduzione dell’art. 416 bis al codice penale, avvenuta sotto la spinta della sollevazione popolare avutasi in seguito all’omicidio di Carlo Aberto dalla Chiesa.
“Che fare allora per sollecitare l’appoggio della società civile? Bisogna meritarselo. E per meritarselo occorrono innanzitutto comportamenti virtuosi. E’ proprio l’assenza di questi comportamenti in Guatemala ad aver spinto l’Onu a costituire un organismo ad hoc per sostenere la giustizia locale. Così com’è l’assenza di tali comportamenti virtuosi in Italia ad avere determinato quella disaffezione di così tanti italiani nei confronti della politica, che ammala la nostra democrazia”. “Il che dimostra che il nostro Paese non ha bisogno di anti-politica, ma di buona politica, che però paradossalmente non può venire dalla politica odierna, dei partiti in crisi”.
Ingroia non rinuncia a parlare di un argomento che lo riguarda molto da vicino, vale a dire il rapporto tra magistrati e comunicazione con la società, che ovviamente passa per i mezzi di comunicazione, come giornali e tv. Ingroia afferma che sta al senso di responsabilità e alla misura del singolo magistrato evitare che il consenso popolare possa sembrare la molla che muove le indagini del pm. A loro volta, gli operatori dell’informazione devono però evitare di concedersi enfatizzazioni gridate e gratuite.