La magia del contastorie - Live Sicilia

La magia del contastorie

Mimmo Cuticchio

Una serata al Museo Pitrè, per riscoprire la bellezza di una tradizione.

PALERMO- C’è un uomo sul palco. E sembrano mille. Smuove la sua spada di scena, intorno arrivano tutti gli altri. Ecco Carlo, re di Francia. Ecco Orlando con lo scintillio della Durlindana. Ecco il ferocissimo Ferraù. Si daranno duello senza tregua per la bellezza di Angelica.

Mimmo Cuticchio, gelese e palermitano d’elezione, è tornato a Palermo, per ricevere la pergamena con la cittadinanza onoraria dalle mani del sindaco Orlando. Con l’occasione ha disossato il terreno brullo, per piantare un seme di speranza. Cuticchio, contastorie (con la ‘o’) è un un tramandatore di bellezza. La porta di qua e di là con la sua poderosa macchina scenica, cioè con tutto se stesso. Si piazza, ritto, sul palcoscenico. Narra delle sue spade. La spada di legno, rammendo antico a ricucire gli strappi dei sogni, la spada da tour che lanciò in America al pubblico, per poi vederla ritornare come per incantesimo e la spada che il suo maestro – Peppino Celano – gli lasciò in dono, dopo averlo insignito dell’ordine del cavalierato dei contastorie. La spada fatata che sempre dà qualcosa in più.

Un uomo solo, che si dimena, che agita l’elsa e alterna il fragore e il sussurro del fiato, costruendo immagini. Un produttore di visioni, in grado di solidificarsi. Ai tempi di Carlo, re di Francia, l’avremmo scambiata per negromanzia. E’ magia buona del teatro, dello spessore di un artista che ha bisogno appena dei suoi occhi, delle sue mani e della sua voce, per tenere incollato il pubblico sulla carta moschicida di una storia: una delle quattrocento che il contastorie reinventa all’istante.

Non ci sono copioni, né suggeritori da buca e nemmeno trame da seguire con docile memoria. Quando Mimmo Cuticchio soffia e gonfia il petto, i personaggi gli si affollano intorno spontaneamente. E così, nello spazio del Museo Pitrè solitamente abitato da nigeriane vittime di sfruttatori e clienti, risorge Angelica, sbarcata dalle Indie con il fratello per conquistare la Francia. Sgorgano nomi che non appartengono alla cartapesta su cui vengono dipinti gli esili racconti moderni. Il mago Malagigi. Il chiacchierone Astolfo. E poi giganti che mulinano ‘cimitarre’, duelli in riva al fiume e alla fine si muore davvero, ma secondo l’epica cavalleresca, tra corti e destrieri.
Il piccolo spazio si allarga, si trasforma in una spianata. E’ vocazione del tramandatore di bellezza offrire l’incanto di un altro mondo, con pianure e vallate al posto dell’asfalto.

Il cuntista è stanco, dopo le battaglie che egli stesso ha combattuto con un corpo solo suddiviso per mille. Stremato prende la pergamena e i saluti della gente che lo abbraccia, perché sa riconoscere la bellezza, nonostante tutto. Ti capita di guardarlo negli occhi e non c’è Mimmo, in fondo allo sguardo che crepita. Tra la spada che si posa sulla sedia e la giacca pronta a coprire le spalle, c’è ancora Carlo Magno, il fierissimo re dei paladini di Francia.


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