La manovra e la manina... | il governo non sta in piedi - Live Sicilia

La manovra e la manina… | il governo non sta in piedi

Intanto i mercati non stanno a guardare.

Semaforo russo
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4 min di lettura

“Vi state occupando solo delle prossime elezioni e non della crescita”. Questa frase non l’ha pronunciata “l’ubriaco” Jean-Claude Juncker o l’irritante Pierre Moscovici, nemmeno lo smarrito segretario del Pd Maurizio Martina. No, l’ha pronunciata Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda. E qui sono guai, perché in quella frase si racchiude un inedito sentimento di perplessità degli imprenditori, che può diventare aperta ostilità, nei confronti del governo di Roma.

Un sentimento negativo che sta montando velocemente nel cuore dell’elettorato leghista del nord preoccupato per una legge di bilancio in arrivo ambigua e zeppa di zone d’ombra. In effetti la manovra in cantiere si profila ingiusta (condono fiscale), confusa (modalità e platea del reddito di cittadinanza), iniqua (pensioni a quota 100), inutile (pressione fiscale invariata, oltre il 42%), dannosa (per oltre 2/3 in deficit). Abbiamo scritto ripetutamente, non occorreva essere degli statisti alla De Gasperi o alla Togliatti, che il Contratto tra pentastellati e leghisti non è il frutto di una vittoria elettorale di coalizione (i due movimenti si sono presentati alle elezioni del 4 marzo in contrapposizione) ma dello sciagurato “Rosatellum”, provocando una innaturale unione tra due programmi inconciliabili rivolti a elettorati assolutamente distinti geograficamente, economicamente e socialmente; abbiamo scritto ripetutamente con cifre alla mano, non occorreva essere premi Nobel dell’economia al pari di Nordhaus o di Romer, che la manovra tratteggiata prima nel Def e poi nel Documento programmatico di bilancio non può stare in piedi, non per colpa dell’Europa ma di una dissennata politica di spesa in deficit, priva di una collegata soddisfacente previsione di crescita del Pil (non è la spesa pubblica in sé la questione), che ha impaurito grandi investitori e piccoli risparmiatori; abbiamo scritto che non si può parlare alle speranze degli italiani, in maggioranza fiduciosi secondo i sondaggi nel nuovo corso e personale politico, schiaffeggiando costoro in pieno volto con un vergognoso condono fiscale che premia gli evasori e mortifica gli onesti.

Alla luce di quanto sta accadendo non avevamo torto e probabilmente siamo all’inizio del calvario, se non si inverte subito il senso di marcia. Quando due forze politiche governano un Paese di 60 milioni di anime con l’unico orizzonte delle prossime elezioni non si va al di là dell’isolato, e lo stiamo cominciando a scontare sulla nostra pelle minacciati dallo spread alto, dalla stretta creditizia per famiglie e imprese, dalla fuga di capitali all’estero (ad agosto sono stati venduti Btp per 17,4 miliardi), dal declassamento del nostro immenso debito pubblico da parte delle agenzie di rating con le conseguenze a seguire.

Ora, manina o non manina, manipolazione o meno di documenti di Stato (lo è un decreto-legge in viaggio verso il Quirinale) come denunciato da Di Maio per allargare le maglie del condono, il problema è essenzialmente politico e riguarda la tenuta di un governo che rispetto alle configgenti esigenze elettorali dei due conducãtor non ha delle camere di compensazione, degli strumenti efficaci di mediazione essendo il premier Giuseppe Conte e il ministro dell’Economia Giovanni Tria totalmente asserviti, in qualche maniera obbligatoriamente, a chi possiede il potere effettivo e i numeri in Parlamento.

E’ politico perché una crisi di governo (inevitabile se scontri, accuse di complottismo e divergenze programmatiche sostanziali perdureranno) sarebbe devastante per i cittadini, per i conti pubblici e per la permanenza nel consesso europeo. Personalmente non la auspico, al netto delle pulsioni xenofobe purtroppo presenti da contrastare risolutamente e degli indispensabili aggiustamenti di rotta sotto il profilo economico-finanziario.

Salvini sembra affascinato dall’idea di diventare il leader dei populisti e sovranisti europei seppure, dovrebbe saperlo, il concetto stesso di populismo e di sovranismo fa a pugni con il gioco di squadra e si sposa piuttosto con gli egoismi nazionali, l’abbiamo visto con la gestione del fenomeno dei migranti e lo vediamo adesso con le reazioni violente alla manovra finanziaria italiana. In entrambi i casi gli “amici” europei di Salvini, o presunti tali, hanno elegantemente avvertito il capo dei leghisti di non gradire richieste di collaborazione sugli sbarchi e deroghe alle regole di Bruxelles.

Il problema è politico e insieme sociale, perché ormai il popolo pur di uscire da una condizione di sofferenza e di immobilismo è disposto a tutto, anche ad abbracciare scenari potenzialmente avventurosi ma almeno di rottura con un passato politico e di governo ritenuto, a ragione, assai deleterio. Le esigenze tra il M5S e la Lega in proposito sono, tanto per cambiare, palesemente divergenti: a Salvini le elezioni europee non fanno paura, a Di Maio sì a causa della protesta furibonda degli iscritti e degli elettori per il ruolo eccessivamente servile nei confronti della Lega, attribuito proprio a Di Maio, e per l’acquiescenza al provvedimento del condono fiscale, preteso dai leghisti, in sfacciata contraddizione con anni di predicazione grillina incentrata sull’onestà. Intanto i mercati non stanno a guardare.

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