PALERMO – La tragedia di Casteldaccia si muove lungo due percorsi paralleli che, speriamo accada presto, dovranno incontrasi. C’è il percorso dei sentimenti, che lascia sgomenti di fronte a una trappola d’acqua che uccide nove persone.
Uomini, donne, figli e nipoti spazzati via da un fiume in piena. Chiudere gli occhi non serve. Le immagini sono un chiodo fisso. L’acqua e il fango che violano il luogo, casa propria, dove ci sente più sicuri e protetti. I bambini che cantano prima di iniziare a urlare, prima che il fiato sia spezzato per sempre. Impossibile non pensarci.
Il dolore fra poche ore sarà accolto in un nuovo luogo fisico. Dalla villetta di Casteldaccia si sposterà nella parrocchia della Madonna di Lourdes in piazza Ingastone, a Palermo, dove sarà allestita la camera ardente delle vittime. Tutti potranno parteciparvi. Il lutto diventerà comune, chissà se servirà da conforto.
C’è un altro percorso, però, che va seguito con tutto il rigore necessario. Ed è il percorso della ragione. Si parte da una domanda, la più banale e al contempo la più giusta: si può morire dentro casa travolti dalla piena di un fiume?
Le indagini proseguono. Speriamo siano veloci. Poche ore dopo la tragedia ci sono già le prime certezze. Non è stata solo la natura cattiva a seminare morte e disgrazia. Si è costruito ovunque in Sicilia, anche a pochi metri da un fiume che si credeva troppo piccolo per temerlo. E qui di certo ci sono le responsabilità dell’uomo. Non bisogna trovare un colpevole in maniera sommaria, ma corre l’obbligo di cercarlo, a Casteldaccia come in mille altri posti di una Sicilia uccisa dall’abusivismo. Perché una casa costruita a poche decine di metri dal letto di un fiume, purtroppo, non è un caso isolato. Basta conoscerla la Sicilia per rendersi conto delle brutture che la sfregiano. Il dramma è quando lo sfregio non si limita alla vista, ma si fa tragedia.
Ed ecco che i due percorsi, della ragione e del sentimento, si incrociano. È la morte di nove persone che obbliga a guardasi intorno. I sindaci di Casteldaccia e Altavilla Milicia, dove alcune costruzioni sono state abbattute, denunciano l’abusivismo imperante. Per anni si è fatto finta di non vedere. E quando si è visto i ricorsi hanno bloccato le demolizioni. Troppo spesso non c’è consapevolezza del pericolo. Si ha la convinzione che le tragedie debbano sempre e solo accadere ad altri. La Sicilia è una regione eternamente in ritardo sulle politiche contro il rischio idrogeologico. Eppure le tragedie – terremoti e alluvioni – si ripetono con una cadenza che smentisce la casualità. Il dolore serva, almeno stavolta, a voltare pagina.