CATANIA – L’unica pausa nel versamento del pizzo in quasi vent’anni è avvenuta nel primo lockdown. Ma quando la stretta si è allentata, gli esattori sono immediatamente andati a battere cassa chiedendo anche gli arretrati. Ma questa volta i titolari di alcuni hard discount catanesi hanno deciso di non cedere alle intimidazioni e di sciogliere il cappio che li soffocava da due decenni.
È partita da un gesto di coraggio l’inchiesta Jukebox dei Carabinieri che lo scorso ottobre ha colpito duramente la squadra di San Giovanni Galermo della famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano. L’indagine ha coinvolto anche i capi del clan Assinnata di Paternò.
Questa mattina, all’aula bunker 3 del carcere di Bicocca, si dovranno presentare boss e gregari santapaoliani di San Giovanni Galermo, che sono collegati dal punto di vista organizzativo al gruppo del Villaggio Sant’Agata. Il pm Rocco Liguori ha chiesto il rinvio a giudizio di 22 persone.
Il gup Luigi Barone dovrà valutare la posizione degli imputati. Alla sbarra alcuni nomi di spessore di Cosa nostra, come Turi Fiore, Salvatore Gurrieri, Salvatore Basile, Luca Marino, Arturo Mirenda e Cristian Paternò.
La ‘tassa’ per la protezione mafiosa negli anni sarebbe lievitata con l’apertura di nuovi punti vendita a Valcorrente e Misterbianco. Dai 350 euro chiesti nel 2001 per il supermercato di Aci Sant’Antonio fino ai 1500 euro versati nell’ultimo periodo.
Il clan, inoltre, avrebbe preteso una tantum per le festività pasquali e natalizie. Nella gestione dell’incasso del pizzo avrebbero avuto un ruolo cruciale alcune donne del clan. In particolare le sorelle Rita e Francesca Spartà, rispettivamente mogli di Gurrieri e Salvatore Basile, avrebbero sostituito i mariti nella riscossione delle tangenti.
Aggiornamento ore 13.30
L’udienza preliminare è stata aggiornata al 22 aprile. Oltre la metà degli imputati ha chiesto al gup di essere giudicato con il rito abbreviato.