Palermo ha un sindaco attivo, Roberto Lagalla, impegnato in un’opera di concreta risalita, dopo che lo sfolgorante dinamismo Orlandiano, il capostipite del rinnovamento, si era incagliato in una dissolvenza onirica, utile (poco) soltanto a nascondere una evidente deriva.
La misura dei problemi è sconfinata, in qualche aspetto ammorbante. Con un capitolo d’allarme sulla sicurezza. Ma, dopo due anni e mezzo circa, l’amministrazione ha dato prova di essere entrata nella città, evitando la contemplazione dei guai associata alla retorica. Si parla di conti migliorati, si parla di strade e si riasfaltano, si parla di cose. Nella consapevolezza che c’è tantissimo da fare sul piano dei servizi, non appare surreale riconoscere un progresso. Eppure, la Pasqua di Palermo è difficile.
Palermo ha un arcivescovo, monsignor Corrado Lorefice (la foto è tratta dalla pagina Facebook dell’arcidiocesi), che ha ravvivato la speranza, nel segno di una Chiesa che ascolta e interviene. Don Corrado si è conquistato un affetto diffuso, con riflessioni profonde, unite ad azioni necessarie. Non ha mai usato il populismo in cerca di consenso. Al contrario, ogni sua parola è ponderata, lascia un segno, semina qualcosa, in attesa dei frutti. Eppure, la Pasqua di Palermo ritarda.
La Pasqua di Palermo conserva la trasparenza di un miraggio perché, nonostante costruzioni, realtà positive e progetti, il problema è comunque Palermo, nella sua identità civile e culturale.
Palermo, secondo una famosa definizione, vive a casa propria, lontana da una dimensione condivisa di pensieri. Palermo è, in molti dei suoi silenzi, indifferente. Non pronuncia una parola di cambiamento da anni. Non la turbano i giovani distrutti dal crack. Non la scalfiscono le ombre dei clochard infagottati sotto casa.
Forse, Palermo, non ricorda nemmeno di avere avuto il dono di Biagio Conte, il missionario laico nemico di ogni distacco. Lo ha seppellito con tutti gli onori, per poggiarne la memoria in un angolo. Esiste, certo, chi non dimentica, chi cerca di adoperarsi. Però, questo sembra il titolo onorifico di singolarità sperdute.
E poi c’è la mafia, ripugnante compagna di viaggio, con il suo codazzo imperituro. Il nostro Riccardo Lo Verso ha scritto un articolo per cogliere il cuore del problema, dal titolo sintomatico: “Anni di antimafia, ma l’ultimo blitz dice che c’è una mafia ‘che seduce’”.
Ecco un passaggio cruciale: “L’ultimo blitz antimafia nel mandamento della Noce ha svelato la questua dei palermitani. Bussavano alla porta dei mafiosi per rilevare un’attività commerciale, bloccare la concorrenza, recuperare un credito, ritrovano la merce rubata. Persino per fare sgomberare una casa dagli inquilini morosi o per sedare le possibili conseguenze di una lite a scuola”.
Anni di manifestazioni, di cortei e di anniversari delle stragi, nonostante gli innegabili progressi, non sono dunque bastati a sradicare una commistione disonorevole.
A questa Palermo piena di crepe l’arcivescovo Lorefice, nell’omelia del Venerdì Santo, si è rivolto: “I nostri cuori (sono) sempre più raffreddati”. Noi siamo qui, nel mezzo del cammino. Tra una Passione che non riusciamo a superare e una Resurrezione che non si scorge ancora.