Palermo: anni di antimafia, ma c'è una mafia 'che seduce'

Anni di antimafia, ma l’ultimo blitz dice che c’è una mafia ‘che seduce’

Dalla lotta a Cosa Nostra all'emergenza sociale

PALERMO – Ci siamo colpevolmente distratti. Mentre cantavamo le gesta dell’antimafia militante, quella delle passerelle e delle macchine blindate nuove di zecca fatte arrivare da fuori città per mostrare alle cerimonie la migliore delle immagini in favore di telecamera, mentre si scrivevano libri e sceneggiature, mentre i dietrologi andavano a testa bassa alla ricerca dei traditori di Stato e dei patti occulti, mentre si scavava, non sempre a ragione, nel passato, lo stesso Stato, in parte, smarriva la visione del presente e perdeva la battaglia sociale.

Ha saputo sconfiggere la declinazione corleonese di Cosa Nostra che aveva alzato l’asticella dell’orrore con le stragi, ma non è riuscito ad avviare un cambiamento radicale nella società. Non è bastato l’orrore dei morti ammazzati (il 1991 è l’annus horribilis: oltre 700 morti), i corpi ridotti a brandelli a Capaci e in via D’Amelio, le tonnellate di arresti eseguiti nei trent’anni successivi e fino ai giorni nostri. Il Dna di una grossa fetta di palermitani sembra immutabile. Prima era la paura a silenziare la ribellione. Ora è la connivenza che sfocia troppo spesso nella convenienza.

L’ultimo blitz antimafia nel mandamento della Noce ha svelato la questua dei palermitani. Bussavano alla porta dei mafiosi per rilevare un’attività commerciale, bloccare la concorrenza, recuperare un credito, ritrovano la merce rubata. Persino per fare sgomberare una casa dagli inquilini morosi o per sedare le possibili conseguenze di una lite a scuola.

Storie di quotidiana mafiosità. Una donna riconosceva ai boss il fatto di essere “gli unici che risolvono problemi”. L’antistato di Cosa Nostra si annida laddove lo Stato è assente

A eliminare i padrini palermitani – Bontade, Inzerillo, Riccobono – hanno provveduto i corleonesi, scesi dalle montagne con i peri ’ncritati agli ordini di Totò Riina. A sbarazzarsi dei corleonesi ci ha pensato lo Stato. I boss sono tutti al 41 bis. Alcuni, come lo stesso Rina e Bernardo Provenzano, al carcere duro ci sono rimasti fino al loro ultimo respiro. Matteo Messina Denaro, un fantasma per tre decenni, è morto dopo la cattura.

Eppure grosse sacche di Palermo restano miserabili. Prendete Gregorio Di Giovanni, capo mandamento di Porta Nuova – quello che era il regno di Pippo Calò per intenderci – si sbracciava per stabilire chi dovesse addobbare con i fiori la parrocchia della Madonna di Lourdes, a pochi passi dal castello della Zisa, in occasione della processione del Venerdì santo.

Processione che si sarà pure fermata sotto casa del mammasantissima del quartiere con uno di quegli inchini che tanto indignano, ma che andrebbero presi per quel che sono: immagini folcloristiche di una mafia che galleggia aggrappata alla simbologia e al mito del passato. A scanso di equivoci: nessuna sottovalutazione perché la mafia continua a tenere sotto scacco intere zone della città.

Non si tratta solo del pizzo che i commercianti pagano per lo più in silenzio, della droga spacciata per le strade con cui la mafia è tornata a riempiere le casse, delle agenzie di scommesse on line che spuntano come funghi e ripuliscono il denaro sporco, dei locali aperti con i soldi illeciti e delle forniture imposte ai negozianti.

Nel frattempo i boss autorizzano chi vuole piazzare una bancarella di frutta verdura, pane e panelle e sfincione durante la festa rionale. Scelgono persino la scaletta delle canzoni ai concerti dei neomelodici.

Ci si dovrebbe chiedere dove finiscono i meriti (?) criminali dei nuovi boss e iniziano i demeriti altrui. Questa mafia che arranca è ancora seduttiva. Di manovalanza se ne trova parecchia e la gente comune fa la fila per chiedere piccoli e grandi favori. Magistrati e forze dell’ordine fanno il loro mestiere ma oltre la repressione c’è il vuoto o quasi.

Per anni si è alimentata – nei film, nei libri, negli articoli di giornale – l’epopea dei corleonesi. Tenere a mente il passato è cosa buona e giusta, ma non può diventare una gabbia. Dovremmo interrogarci perché una coppia di giovani che vuole aprire una pizzeria – come è emerso nell’ultimo blitz nel mandamento della Noce – si rivolga ancora al boss.


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