La quasi Champions | (ma vista da Catania) - Live Sicilia

La quasi Champions | (ma vista da Catania)

Per chi guarda e si guarda a distanza come Palermo e Genova, la sfida di
domenica che vale l’accesso alla coppa campioni è come la “fuitina” a
Montecarlo o Taormina. E’ quindi desiderio di terraferma sia per il Palermo che per la Sampdoria questo biglietto del treno per chi vive sul mare, per chi per mare è andato (i genovesi) e per chi dal mare è stato creato (i palermitani).
Vista a distanza, da Catania, questa partita sembra il voto più alto del cugino, la macchina nuova dell’ odiato vicino di casa che ce la può fare, ma se  ce la fa rischia di farci sentire più giù di quanto siamo.  In realtà il Catania la sua coppa l’ha vinta raggiungendo la salvezza contro la Juventus, ma in questa Italia “anti”, la vittoria del Palermo apparirebbe come la vittoria del cannolo sull’ arancino, Santa Rosalia più forte di Sant’Agata che significa la guerra civile tra i siciliani. Ma anche questa potrebbe essere l’ennesima caricatura di una Sicilia che si “odia”, la provincia babba contro quella sperta e sarebbe pure accettabile nella misura in cui la rivalità non si trasformi nel coltello dell’ultras, o nell’ antisportività che è la seconda maglia della delinquenza.
Mentre Palermo si coccola Miccoli giustamente, Catania elegge Mascara sindaco. E’ storia di dualità quella tra le due città di Sicilia che poi significa due diversi modi d’intendere lo stare al mondo ovvero lo stare in campo. Non senza ragione alcuni manifesti dell’Udc hanno utilizzato la metafora calcistica per deridere il catanese Lombardo attaccante insieme a Cracolici di una squadra mossa dal caso o meglio dal Caos.
A Catania il calcio è modulo, c’è maggiore raziocinio perfino nei suoi giocatori mentre a Palermo è carnevale sia per il presidente Zamparini, che se fosse stato presidente del consiglio avrebbe rimpastato i governi più della Democrazia Cristiana, sia per Delio Rossi allenatore zemaniano vero artefice della bella rimonta che il Palermo ha intrapreso da quando è arrivato. Perché per chi l’avesse dimenticato il Palermo iniziò la stagione con Walter Zenga ex allenatore del Catania traditore tradito a Palermo per ubris, tracotanza, quella di chi voleva scalare il cielo come il gigante Tifeo e che gli dei hanno scaraventato giù, sotto il vulcano Etna.
Sospira quindi il catanese sotto l’elefante e si rode come quei personaggi brancatiani che sprizzano eros da tutti i pori ma poi se gli va bene fanno l’amore con la moglie, dissimulano il fastidio e attendono il ritorno di qualcosa e di qualcuno: di Bianco, di Musumeci, una nuova giunta, un nuovo 6 al superenalotto, i soldi delle opere pubbliche che fecero anni fa di Catania un cantiere a cielo aperto.
Invece Palermo si gonfia come un grosso sfincione, e non si capisce se è gioia, estate, calore, spazzatura, sudore. Catania chiude la sua via Etnea al traffico mentre Palermo ha le sue Via Maqueda, Ruggero Settimo, Roma aperte al traffico e al delirio di una città sportiva che potrebbe arrivare in Europa come ad Addis Abeba per condizioni igieniche. Così mentre Mpalermu si viene a protestare per avere stabilizzazioni, qui a Catania si respira un’aria più salubre ma che sa di crepuscolo quell’ombra dei palazzi del Vaccarini che hanno qualcosa di sinistro, da clubs, massoneria, imbroglio che poi si ratifica a Palazzo dei Normanni.
Eppure la partita è tra Palermo e Sampdoria due squadre che s’illuminano di piccoli geni diversi: Miccoli e Cassano, uno ha il senno, l’altro la follia, complementari ma separati da due coste, da due porti. E allora contro chi gioca il Palermo, la Sicilia domenica?
Contro il cielo. Azzuro come quello dell’Annunziata a Palazzo Abbatellis ricordo della bellezza, e azzurro come la maglia della Samp che è espressione di Genova, del porto ridisegnato dall’architetto Piano, di una città già in Europa ma che non naviga più da tempo.
Palermo naviga come una cattedrale sospesa tra l’Europa e l’Arabia, tra il fasto perduto e la modernità che non si raggiunge; il desiderio di dare un calcio al sacchetto di spazzatura e sentirsi in Europa anche se solo nel calcio.

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