La riforma blinda l'autonomia |che è morta da un pezzo - Live Sicilia

La riforma blinda l’autonomia |che è morta da un pezzo

Sarà quasi impossibile limitare l'autonomia delle regioni a statuto speciale come la Sicilia. Almeno sulla carta.

PALERMO – Chissà se i paladini dell’autonomia se n’erano accorti. E se la norma in questione li convincerà a darsi da fare per il Sì al referendum di dicembre, per il quale il premier Matteo Renzi è venuto a sbracciarsi nell’Isola questo fine settimana. A spiegare la questione è stato il giurista Michele Ainis ieri su Repubblica. Mettendo in evidenza come in una norma rimasta fin qui un po’ nell’ombra, la riforma costituzionale blinda praticamente in eterno l’autonomia delle regioni a statuto speciale. Se, infatti, da una parte la riforma renziana ridimensiona di molto le competenze delle regioni, riportando allo Stato il timone in tutta una serie di materie, dall’altra ciò non accade per le cinque regioni a statuto speciale – e quindi per la Sicilia – che non solo non vengono deprivate di competenze ma vedono, nelle disposizioni transitorie, blindato l’attuale livello d’autonomia, che potrà essere ridimensionato solo con una norma costituzionale concordata con le regioni stesse.

Nel suo articolo di ieri, Ainis ricostruisce la genesi della norma che introduce una garanzia senza precedenti per l’autonomia delle regioni a statuto speciale. La novità è stata inserita in un emendamento approvato a ottobre del 2015 su proposta del presidente del Gruppo per le autonomie, Karl Zeller. Ed è servita a blindare al Senato il pacchetto di voti degli autonomisti. Il comma 13 dell’articolo 39, riassume Ainis,”vieta per tutti i secoli a venire di sforbiciare le competenze delle Regioni speciali, a meno che non siano loro stesse a decretarlo. Cambia infatti il procedimento di formazione degli statuti, dove per l’appunto s’elencano tali competenze: nel caso delle cinque Regioni ad autonomia differenziata, servirà una legge costituzionale adottata dallo Stato «sulla base di intese con le medesime Regioni». In pratica, per modificare gli statuti speciali servirà una procedura ancora più rafforzata che per modificare la Costituzione stessa, essendo necessario il consenso della Regione interessata. Insomma, in una riforma che sposta dal federalismo verso il centralismo la fisionomia dei rapporti tra Stato e periferie, c’è un’eccezione gigantesca che porterà le cinque regioni a statuto speciale a tornare a essere “speciali” rispetto alle altre, anzi, a esserlo come mai prima.

Manna dal cielo per gli autonomisti di casa nostra? Forse, ma solo se si vuole guardare alla questione da un punto di vista solo formale. Perché le recenti cronache politiche raccontano in modo fin troppo eloquente come all’autonomia formale garantita dello Statuto non corrisponda nei fatti un’autonomia sostanziale. Dalle rinunce ai contenziosi con lo Stato firmate dal governo Crocetta alle sorti di tutte le (poche) leggi di un certo peso varate dall’Ars, finite tutte o quasi per ricopiare i contenuti delle norme statali dopo essere state fatte a pezzi nelle impugnative del governo nazionale, Dalle Province alla pubblica amministrazione, l’attività riformatrice dell’autonomissima Sicilia si è ridotta in questi anni a una storia di copiature, per giunta tardive, come ricordava stamattina Accursio Sabella su Livesicilia. Tanto autonoma la Sicilia da non azzardarsi nemmeno a protestare contro a famosa norma sulle trivelle che ha visto ribellarsi un corposo blocco di regioni meridionali. Insomma, verrebbe quasi da tranquillizzare il professor Ainis: la “Regione-Stato” creata dalla riforma renziana, nella sostanza resterà con ogni probabilità un fantasma. O magari peggio, solo un ottimo pretesto per affollare di personale qualche ufficio pubblico.


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