Se una sera d’estate un cantautore… si trova a chiacchierare con quattro amici in un’isola, davanti a un buon bicchiere, dopo una giornata di mare e di sole, di allegria e di spensieratezza, però… ad un tratto, inattesi, vengono fuori certi discorsi che fanno avvertire, pur in quel paradiso lontano dalla frenesia della quotidianità, quasi un senso di disagio, un malessere sottile, ecco, allora può accadere che nasca una “cosa” a metà fra un’idea e un’utopia, fra un progetto e una speranza, e che, se la cementi con la voglia di fare, le chiacchiere restano lì, attorno a quel tavolo, e la “cosa” comincia a prendere forma. Il cantautore si chiama Claudio Baglioni, l’isola è Lampedusa, la “cosa” è O’ Scia’, mix informale – e spesso ardito – di artisti che si incontrano e, lasciando che la loro arte si incroci con quella degli altri anche solo il tempo di una sera, hanno acceso i riflettori, da cinque anni ad oggi, sui problemi dell’immigrazione e su quelli dell’integrazione culturale, tirando la giacca ai governanti e instillando un pensierino nelle migliaia di fan affollati sulla spiaggia della Guitgia per rallegrarsi con le performance dei propri beniamini.
Baglioni, la scintilla scoccò proprio quella sera… “Sì, cinque anni fa. E lo ricordo perfettamente quel senso di benessere che ci regalava stare in un posto così bello. Però quel benessere coabitava, in un modo strano, che non so quasi spiegare, col sintomo di un dramma collettivo perché gli sbarchi non li vivevano soltanto i protagonisti, gli immigrati, ma i lampedusani stessi. C’era come il senso di una felicità incompleta, un misto di paura e diffidenza, un’insicurezza serpeggiante e allora ho imbracciato la chitarra e quella prima estate, da solo, mi son messo a cantare sulla spiaggia della Guitgia. E Guitgia, guarda caso, vuol dire approdo…”.
Se l’aspettava che questa impresa avrebbe assunto le dimensioni quasi monstre che ha adesso, che si sarebbe arrivati alla quinta edizione consecutiva, che gli artisti avrebbero sgomitato per esserci e che il pubblico sarebbe stato disposto a viaggiare sulle ali dell’aereo pur di venire in quei tre giorni?
“Onestamente no. Perfino Bob Geldof, uno che, a distanza di vent’anni, ha organizzato due mega-eventi musicali come Live Aid e Live 8, e che è stato nostro ospite tre anni fa, si è sorpreso”.
Ci si potrebbe anche montare la testa…
“Alt. Nessuna presunzione di voler cambiare il mondo. Però la consapevolezza di aver offerto l’occasione di riflettere su un tema delicato come quello della coabitazione, quella sì. Parliamo tanto di globalizzazione, di merci che vanno e vengono, di consumi e mode transnazionali e poi gli uomini che si spostano da un Paese all’altro spesso per necessità, che ci si propongono con la loro cultura, quello ci fa ancora paura, provoca smarrimento, intolleranza, senso di estraneità. Ecco, oltre a chiedere ai politici di legiferare sull’immigrazione, di assumere atteggiamenti più coraggiosi su questo argomento, in questi anni abbiamo cercato di far capire che occorre una nuova capacità di incontrarsi, che la questione principale è proprio rapportarsi al prossimo, noi e l’altro, noi e il diverso da noi, un nuovo umanesimo che nasce dai piccoli gesti, come quello dei 147 artisti italiani e stranieri che si sono fin qui messi in discussione sulla spiaggia di Lampedusa, che in queste cinque estati hanno mischiato alla Guitgia le loro identità”.
Poteva accadere a Lampedusa oppure dove?
“Io credo potesse accadere solo qui e non lo dico per ruffianeria. O comunque in un posto che fosse così siciliano come questo”. La Sicilia tanto amata da Claudio Baglioni… “è la terra più riconoscibile in Italia. Profumi, colori, sapori, in una sola parola: identità. Non esiste altro luogo così fortemente connotato come la Sicilia, con un così preciso carattere, una così radicata consapevolezza di sé e forse, in un momento in cui si blatera tanto sul fatto che abbiamo perduto la nostra identità, proprio qui, o su quell’isoletta che si chiama Lampedusa, si potevano mischiare e fare incontrare identità così diverse”. Sarà perché siamo fatti “a strati”, geneticamente e culturalmente parlando, con tutti i popoli che ci hanno invaso…
“Io sono assolutamente convinto che il meticciato sia la ricchezza del mondo”.
E scendendo più nel personale, cosa vuol dire Sicilia per Baglioni? “Strane coincidenze. Il mio esordio da artista impegnato nel sociale fu allo stadio della Favorita, quando partecipai a “Giù la maschera”, il concerto organizzato dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio. La mia “Noi no”, cantata in coro da 40 mila persone, diventò quasi un inno antimafia. E poi sono state siciliane anche le mie prime uscite pubbliche da neo-architetto, invitato a ben due convegni sui teatri antichi dell’Isola”.
Torniamo a O’ Scia’: che cosa si è raccolto di quel che si è seminato in questi cinque anni?
“Intanto l’attenzione delle istituzioni italiane ed europee, il patrocinio del presidente della Repubblica e quello della Ue. Questa è una manifestazione nata sotto un governo di centro-destra che è spalleggiata anche dall’attuale governo di centro-sinistra. E poi ci sostengono molte organizzazioni non istituzionali e anche questo è un gran successo, aver fatto capire a tutti, istituzioni e non, che in tema di diritti umani è importante ballare la stessa danza. Lo hanno capito a Bruxelles, al Parlamento europeo, due anni fa, quando abbiamo presentato lì il progetto con un mio concerto. Lo hanno capito a Malta, quest’anno, dove siamo stati “in trasferta” un mese prima del consueto appuntamento a Lampedusa. E il prossimo anno vorremmo andare in Senegal. E poi l’America: sono stato di recente negli Stati Uniti e mi hanno parlato di O’ Scia’ non solo presso le comunità italo-americane”.
Lampedusa era anche l’isola amata – e scelta per viverci d’estate – da Domenico Modugno e forse non è un caso che la “sigla” di O’ Scia’ sia “Nel blu dipinto di blu”…
“è vero, anche questo è un segno. Mimmo – che, non scordiamolo, è stato il primo cantautore italiano dell’era moderna – adorava quest’isola, tanto da viverci, tanto da morirci. Quando cercavamo una canzone con cui chiudere le serate, ‘Volare’, a parte la sua bellezza, ci è parsa anche la più pertinente, rappresenta il sogno dell’uomo che sale, è un brano che si libra sulle angustie dell’esistenza, è un’utopia tradotta in musica”.
Baglioni, lei è uno che negli ultimi dieci anni ha poco alla volta sdoganato un’immagine di sé che era quella del cantautore melodico: prima è venuta fuori la sua voglia di leggerezza, la sua anima bambina, con Fazio in “Anima mia”, poi la tardiva laurea in architettura, oggi l’impegno sociale di O’ Scia’. Ci spieghi lo sdoganamento.
“Mah… più che di sdoganamento parlerei di istinto di sopravvivenza o di rinnovamento. Non ci si può specchiare e vedersi sempre uguali, si rischia la parodia di se stessi. L’amore che ti dà la gente bisogna guadagnarselo sul campo e anche nel cambiamento. L’artista ha un costante bisogno d’affetto, di legittimazione collettiva ma non può barattare quest’esigenza con la sincerità verso se stesso, altrimenti ripagherebbe il pubblico con una moneta falsa. E poi credo che, più si va avanti con gli anni, più si senta voglia di innocenza. Ecco, è la regola dell’innocenza quella che dovremmo riguadagnare”.
(intervista dal numero di gennaio 2008 di I love Sicilia)