La speranza dei bimbi diversi - Live Sicilia

La speranza dei bimbi diversi

In questi giorni di annunciata catastrofe economica, durante i quali i grandi del pianeta in eleganti stanze si guardano negli occhi per decidere del nostro futuro, noi ci sentiamo più inermi, scalzati come siamo dai circoli decisionali. Solo le piazze ci accolgono con i nostri desideri di cambiamento urlati ai quattro venti che, notoriamente, hanno la sola capacità di disperderne il fragore. Sono urla, queste, che siamo avvezzi a delegare alle nostre giovani progenie per incapacità fisiche più che altro. Loro si accampano per noi dinanzi ai luoghi di un potere ormai diventando imprendibile perché dislocato, polverizzato, nebulizzato su un territorio diventato troppo vasto per poterlo pensare e dunque aggredire. Un potere che sfugge alla dialettica e si sottrae dal ruolo di antagonista miscelandosi ad altri poteri più occulti ancora.

Ai nostri frutti di amorosi legami affidiamo, allora, la carica contro lo status quo pronti ad intervenire partendo dalle comode retroguardie. E quando ci si impone la riflessione sul futuro del nostro futuro – ovvero i nostri figli – siamo pronti a metterli sul precario piedistallo che li rende protagonisti del nostro avvenire, che è più loro che nostro. Le nostre sono, però, riflessioni che si perdono nel bla bla bla quotidiano imbevuto di luoghi comuni e di buoni propositi. Da più – e forse troppe – parti si fa sfoggio di saggezza a beneficio di chi verrà dopo di noi a governarci il mondo quando noi saremo già decrepiti, sebbene senza la certezza di una miserevole pensione.

Tutto il presente discorso si riferisce a gioventù normodotate perché quelle con disagio permangono figli di quel dio minore di cui nessuno più ricorda il nome. I bambini che subiscono violenze ci piombano in casa gettati dalla grande finestra che la TV ci rappresenta. Imprigionano i giornalisti al tavolo da lavoro per riempire le prime pagine di tanti quotidiani che su quella violenza ricalcolano in positivo il fatturato. Noi leggiamo e ci indignamo sino a quando la news muore e con lei l’interesse delle testate migliori. Ma di tutti i bambini che non vivono di eccessi ma navigano entro le acque prevedibili del disagio psico-fisico, di loro quanto ce ne accorgiamo? La risposta la lascio a voi perché a me basta la mia esperienza di vita e di professione compiuta accanto a questa infanzia silenziosa che urla ogni giorno dentro le case di quei genitori in eterna gestione della diversità ingestibile. Per ogni bambino nato con anomalie psichiche o fisiche esiste una famiglia che lotta contro le inettitudini di una scuola mai pronta ad accogliere queste diversità; per ridotto organico o difettose competenze.

Il più delle volte, a scanso di equivoci, il danno maggiore ci proviene da una mancata maturazione delle coscienze, un intermittente impegno delle istituzioni, un affrettata ricerca di soluzioni da parte di chi deve decidere, soluzioni che hanno il respiro breve di chi è miope per statuto. Io penso ai bambini che vittime illustri e primarie sono della disabilità, ma penso anche alle famiglie che intorno a loro gravitano in affanno. La mia mente va ai padri e alle madri quotidianamente invischiati in un menage apocalittico dal quale sempre riescono a trarsi fuori con il sorriso sulle labbra convinti che, dopo il tempo del pianto, sia necessario il tempo dell’impegno. Sono esseri costretti a tornare presto lucidi per non soccombere in modo definitivo.

Davanti ai miei occhi indugia un fermo immagine metafora di tutte le battaglie combattute da queste famiglie di bambini speciali. Sono appena entrato nell’appartamento di G., un bambino di nove anni con la sindrome autistica, e prima ancora di scambiarci i saluti con la padrona di casa, noto all’ingresso una sedie a rotelle che so non poter essere di G. ma – lo scopro solo dopo un po’ – del fratello appena più grande di lui e come lui colpito da destino avverso. Mi dico che non mi posso commuovere se voglio essere di qualche utilità e il sorriso dei genitori che mi accolgono in quell’appartamento arredato ad hoc per le esigenze dei due figli, mi disarma e mi costringe a sintonizzarmi su frequenza più efficaci. A nessuno servono più le lacrime; la vita è stata già bastarda e dunque poco importa se continuo a disperarmi poiché so che la mia disperazione non aiuterà certo i miei figli.

Così hanno fatto – per fare un esempio utile a chi vive ancora nella fase del disorientamento – un gruppo di genitori di bambini autistici che hanno deciso di trasformare la loro delusione e la loro rabbia in un Comitato che potesse essere voce in questo mare di silenzio. Il Comitato “L’autismo Parla”; genitori di Palermo si muove tra gli interstizi di questa politica troppo presa da campagne di promozione di se stessa. Con il loro pervicace impegno riescono pure a ottenere qualcosa di importante e forse più; ma quanta fatica! Come se non fosse bastata quella spesa ad accettare la condizione dei propri figli.

Da parte mia continuo a spendermi per loro fin dove la mia capacità lo consente, usando gli strumenti che più mi si addicono che nel mio caso è la scrittura. Porto in giro – dove mi accolgono ovviamente – la storia vera di Ario, bambino autistico capace di mettersi in contatto con il mondo per il tramite della musica. (Il canto di Ario – Azimut Edizioni). Giro tra le scuole primarie con questa storia in tasca da raccontare ai bambini che incontro e qualche volta riesco pure a raccogliere fondi per il Comitato del quale mi sento parte perché gentilmente accolto. Non avrò certo più la tempra per dormire all’addiaccio all’ombra del Teatro Massimo ma la forza per raccontare una storia la troverò sempre, fin quando parole mi verranno.

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