Il problema è che vogliono comprare Javier Pastore e accecare i nostri occhi avidi della sua bellezza. Maledetti. Mai che sbuchi qualcuno a offrire cinquanta milioni (o cinquanta euro) per la munnizza, il sindaco pro tempore, o tutto l’inclito Consiglio comunale. No. Calano con i soldi e si prendono la bellezza. La bellezza costa. Palermo non può mantenerla. Javier andrà via subito? Speriamo di no, ma è probabile che vada. In ogni caso, se non sarà quest’anno accadrà l’anno prossimo. Il destino di uno dei massimi fuoriclasse che abbiano mai calcato il “Barbera” è segnato. Ed è, appunto, destino che la bellezza in transito a Palermo evapori o ammuffisca.
C’è un sottile filo rosanero tra il sentimento ritorto che i palermitani nutrono per la loro città e per i loro campioni. Talvolta, si meravigliano che tali portenti escano dal cappello a cilindro nella landa desolata che li circonda. Sul serio è Palermo colei che splende tra i gelsomini e la luce studiata di viale Campania? Palermo munnizzara e stravolta? Palermo stuprata e vilipesa? Davvero è lecito aspettarsi che uno sbarbatello gracilino (non scrissero El Flaco per scherzo) domi il pallone con tale grazia adulta? Poi il sole si spegne. Il buio ottenebra. Malediciamo la bellezza, perché nell’ombra della nostra cecità non la scorgiamo più. La disdegniamo e la vituperiamo, fino a quando non ce la rubano. Solo dopo la rapina piangiamo lacrime di rimpianto.
Cavani rimpianto. Palermo che fu rimpianta. Toni rimpianto. Le palazzine di via Libertà rimpiante. Grosso rimpianto. Il mare sottratto e rimpianto… Alla fine di tutti coccodrilli, ci ritroviamo su qualche tipo di spiaggia ad arrostire la nostra ira inutile. Vagheggiamo di rivoluzioni impossibili, mentre sotterriamo le ultime scaglie d’oro. Lamento por Pastore (in spagnolo maccheronico assai). Ora che rapiscono pure Javier, che ne sarà di noi?
