PALERMO – Domanda e offerta si sono incrociate alla perfezione. Da una parte gente in difficoltà economica, aggravata anche dal Covid, e dall’altra gli usurai pronti a offrire un’ancora di salvezza. Così sembrava, in realtà era l’inizio di un incubo a cui ha messo fine il blitz dei finanzieri del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo.
In carcere è finito Salvatore Cillari, ai domiciliari il figlio Gabriele, Giovanni Cannatella e Matteo Reina. Ciascuno di loro avrebbe avuto un ruolo di peso nell’associazione. L’uomo forte sarebbe stato Cillari senior. Un “succhiasangue”, lo definiscono gli investigatori, l’uomo dei soldi. Senza la sua forza economica il giro dei prestiti non poteva stare in piedi.
Soldi per i boss detenuti
Cillari è fratello di Gioacchino, boss ed ergastolano di Porta Nuova, e di Antonino, uomo d’onore dello stesso mandamento. L’anno scorso la Dda di Palermo ricostruì che Francesco Paolo Maniscalco e Salvatore Rubino, gli uomini del business delle scommesse targate Cosa Nostra, avrebbero aiutato economicamente i boss detenuti e le rispettive famiglie.
A raccogliere i soldi sarebbe stato proprio Salvatore Cillari. Un riscontro arrivava da una conversazione dell’aprile 2018 nei pressi di una barberia di piazza D’Ossuna, rione Zisa, a pochi metri dalla strada dove è stato ammazzato il boss Giuseppe Dainotti (la sorella del boss assassinato è la madre di Tommaso Lo Presti, altro pezzo grosso di Porta Nuova oggi detenuto. Gioacchino Cillari è sposato con Giuseppa Lo Presti, la sorella di Tommaso). La barberia è di proprietà di Matteo Reina, anche lui arrestato nella notte, con l’accusa di avere fatto da intermediario fra le vittime e lo stesso Cillari.
Microspie dal barbiere
I finanzieri intercettavano Antonino Cillari, fratello di Salvatore, mentre discuteva con Reina. Criticava il fratello. “… basta che si è divertito e rilassato lui… tutto il resto… i carcerati… cose… lascia perdere a me, ma il carcerato… ”. Insomma, non aveva gradito che il fratello si fosse fatto una vacanza senza pensare a chi sta peggio di lui.
Qualche giorno dopo nella stessa barberia veniva captata una conversazione fra Matteo Reina e altre due persone, Bartolomeo Genzardi e Giorgio Stassi: “… a quello pure gli è arrivata la chiamata… penso di sì… è suo fratello Masino”; “… questo pure cercano”; “Certo, Masino… Tommaso Lo Presti (Gioacchino Cillari è sposato con Giuseppa Lo Presti, sorella di Tommaso ndr)”; “Certo… gli devono dare i soldi, suo cognato è… il cognato del Pispis è … (Salvatore Pispicia, cognato sia di Tommaso Lo Presti che di Gioacchino Cillari, ndr); “… a Giovanni il lungo (soprannome di un altro killer ergastolano, Giovanni Di Giacomo, ndr)… a questi i soldi glieli devono mandare’”, “Certo… poi tutti gli altri poi… chi ha la torta se la divide…”. La chiamata, dunque, sarebbe stata un modo per nascondere la consegna dei soldi.
E chi deteneva i soldi da dividere alle famiglie dei detenuti? Le microspie hanno intercettato Reina mentre diceva “… gli hanno dato… prese 5.000”. E Cillari spiegava: “… sto raccogliendo piccioli… perché questi sono quelli importanti”.
L’amicizia con il boss Di Giovanni
Si riferiva probabilmente a Gregorio Di Giovanni, soprannominato il reuccio di Porta Nuova. Di lui, prima che lo arrestassero nel blitz che ha bloccato la nuova cupola di Cosa Nostra a Palermo, in giro si diceva che era “un personaggio che in questo momento rappresenta a Palermo il Papa”. Non ne faceva mistero neppure lo stesso Cillari che all’indomani dell’arresto di Gregorio Di Giovanni, il 5 dicembre 2018, spiegava: “… reuccio è un problema mio… non ci voleva, però non è che li abbandono… io ci vado al negozio ora… sono ma a vostra disposizione che discorsi sono? Perché è in galera…”.
Della squadra di Cillari avrebbe fatto parte anche Cannatella, titolare di un negozio di mobili usati e antiquariato in corso Alberto Amedeo. Non è un caso che molte delle vittime di usura sarebbero commercianti del settore settore. Negozianti che si rivolgevano a un negoziante come loro credendo di potere risolvere i problemi economici. Ed invece li peggioravano: come accadde anche al titolare di una rivendita di frigoriferi industriali.
La contabilità
Gabriele Cillari viene considerato il braccio destro del padre Salvatore. Circostanza che emergerebbe anche dai fogli che sono stati sequestrati nelle abitazioni di entrambi. Appunti manoscritti, con nomi e cifre. Da qui la considerazione del giudice per le indagini preliminari Marco Gaeta, secondo cui gli affari di Cillari, erano in “espansione”.
A Palermo come a Roma, dove Salvatore Cillari aveva creato una società con Francesco Paolo Maniscalco attraverso cui gestivano due bar. Nel frattempo si erano mossi anche nel capoluogo siciliano dove i soldi dell’usura sarebbero stati investititi per aprire l’osteria “L’acerba” al Capo. Nella contabilità trovata a casa dei Cillari si fa riferimento ad acquisti di merce. Adesso i finanzieri stanno verificando se per caso non fosse un modo per celare altri prestiti ad interessi usurari.