La scorsa settimana l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, con un decreto del Commissario Giuseppe Caruso, ha revocato il provvedimento di destinazione n: 32579 del 18 gennaio 2007 emesso dall’Agenzia del Demanio con il quale era stato disposto il trasferimento al patrimonio indisponibile del Comune di Salemi di alcuni lotti di terreno e annessi fabbricati confiscati al boss Salvatore Miceli e alla moglie Veronica Dudzinski.
Vittorio Sgarbi, plaudendo all’iniziativa dell’Agenzia “di assumersi direttamente l’impegno di assegnare i terreni confiscati a chi sia in grado di occuparsene”, ha auspicato che non si ripeta “l’esperienza di affidamenti di comodo ad associazioni religiose che accumulano senza alcun esito attivo e produttivo”. “Il vescovo della Diocesi di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero – si legge in un comunicato -, ha replicato, accusando Sgarbi di «gettare discredito nei confronti di associazioni ecclesiastiche». Adesso il sindaco di Salemi scrive a Mogavero la lettera che qui riportiamo integralmente”:
«Illustre Monsignore,
la legalità è prima di tutto verità. E la Sicilia, nell’azione attuale dell’antimafia, diffonde menzogne e incrimina persone la cui condotta, pur discutibile, è del tutto estranea all’azione della mafia. Tra le vicende per le quali si evocano, impropriamente, poteri occulti, suggeritori e burattinai, c’è quella di un terreno confiscato alla mafia che il Comune di Salemi non è stato in grado, nonostante documentati tentativi, di affidare in gestione. E che oggi, revocato alla disponibilità del Comune, è stato restituito all’Agenzia nazionale dei beni confiscati.
Le parole con cui Lei ha risposto alle mie affermazioni e alla mia piena soddisfazione che la futura assegnazione dei terreni sia stabilita direttamente dall’Agenzia, riproducono luoghi comuni nei quali si accomodano giornalisti conformisti e diffamatori. La storia è molto più semplice: nessuno, in nessun momento e da nessuna parte, mi ha chiesto di rallentare l’affidamento e indirizzarlo verso obiettivi controllabili. Io ho individuato, fin da subito, in Slow Food, l’istituzione più adatta alla gestione, ma, nonostante la lunga trattativa, contrariamente a quanto afferma il giornalista Giacalone (in un articolo infarcito delle solite suggestioni sul sito www.liberainformazione.it) non ha mostrato disponibilità se non molto remota e condizionata a una dotazione di 50 mila euro di cui il Comune non aveva allora disponibilità.
E’ vero che aveva manifestato il proprio interesse anche l’associazione guidata da Padre Francesco Fiorino ma anche in quel caso essa era subordinata a un intervento economico da parte del Comune, come già aveva chiesto in passato. Per questa ragione ho parlato di «affidamenti di comodo». Di più, nei luoghi affidati a Padre Fiorino l’attività produttiva e la riabilitazione dei siti non ha portato ad alcun esito, né ad alcun sensibile risultato, essendo ogni azione sostanzialmente subordinata ai contributi dello Stato. Questo spiega la mia determinata volontà di muovermi in altre direzioni, senza in alcun modo subire «il volere del burattinaio di Salemi» (creato da una delle tante, arbitrarie e fantasiose ricostruzioni dell’antimafia). L’unico modo di combattere la mafia è dire la verità. Non inventare situazioni di conflitto inesistenti o millantare taumaturgici interventi, e «impegni corali di tutti” (sic), «con la concretezza delle azioni e dei fatti» che non ci sono.
Continuare a parlare di mafia serve a umiliare una terra di tutti a vantaggio di pochi. Le cose restano difficili, ma non per la mafia. E io ho avuto difficoltà a trovare chi volesse valorizzare quel terreno confiscato alla mafia, prova ne sia che, dopo un tentativo , ho ritirato l’affidamento, subendo, peraltro, un ricorso al Tar. Se anche al vescovo di Mazara del Vallo piace giocare a guardia e ladri, lo lascerò nella sua convinzione e lo affiancherò a quelle autorità, dal prefetto al questore, ai magistrati, al maresciallo dei Carabinieri che hanno fatto, a solo vantaggio dei professionisti dell’antimafia e giornalisti come Giacalone (che chiamerò a rispondere delle sue insinuaizioni in tribunale), un’opera di falsificazione della verità. Che io non sono disposto ad accettare. Per questo, prendendo atto del conformismo e del compiacimento nel costruire una realtà che scarica sulla mafia errori della politica, dell’impresa e delle istituzioni, cercando alibi alla propria impotenza e ostacolando il processo di rinnovamento che avevo iniziato a Salemi, sono costretto ad andarmene presto non per le minacce e il pericolo della mafia ma per non essere travolto dalla retorica, dalla finzione, dall’atteggiamento grave e finto di chi afferma di combatterla anche quando essa è stata schiacciata. Caro Monsignore, io non amo i sepolcri imbiancati. Non perché imbiancati, ma perché contengono morti. E io coltivo la vita».