Due latitanti e un arsenale| Tutto porta a Messina Denaro - Live Sicilia

Due latitanti e un arsenale| Tutto porta a Messina Denaro

Matteo Messina Denaro

Gli arresti di Bigione e Marino, le armi di Paceco. Qualcosa ribolle in terra trapanese.

PALERMO – Due latitanti arrestati e un arsenale ritrovato. Tre episodi in sequenza solo apparentemente slegati fra di loro. Se è vero che in provincia di Trapani non per forza tutte le indagini devono ruotare attorno alla figura di Matteo Messina Denaro, che nel Trapanese affonda le radici del suo potere criminale, è con la figura del latitante che i tre episodi obbligano a confrontarsi.

In pochi giorni fra Vita e Paceco arrestano Vito Marino e trovano un deposito di armi. Marino era latitante dal 2016, quando è diventata definitiva la condanna all’ergastolo per il massacro di Brescia. Fu lui a sterminare, nel 2006, l’intera famiglia Cottarelli – padre, madre e figlio diciassettenne – nella loro villa. Lo hanno arrestato in un ovile nelle campagne di Vita.

Vito Marino è figlio di Girolamo, detto ‘Mommo ‘u nano’. Nel 1986 i killer a bordo di un’ Alfasud si fermarono davanti al boss di Paceco ed esplosero due sventagliate di mitra. A sparare c’era anche Messina Denaro. ‘Mommu u nano’ pagò il suo rifiuto di ammazzare la moglie del cognato che aveva deciso di collaborare con i magistrati. Il passato non si dimentica: Marino, con la prospettiva di restare in carcere per tutta la vita, è uno dei peggiori nemici di Messina Denaro.

Come si è arrivati al suo arresto e al ritrovamento delle armi? I due episodi sono legati? C’è dietro qualche fonte confidenziale?

Passano pochi giorni dall’arresto di Marino e in un casolare abbandonato nelle campagne di Paceco vengono trovati quattro kalashnikov pronti all’uso, con tanto di caricatori e munizioni. In un bidone c’erano un fucile a canne mozze, due revolver calibro 38, un fucile a pompa, un fucile mitragliatore mab 38 e un altro fucile mp 40. Insomma, un arsenale a disposizione dei mafiosi di Paceco e Salemi. E cioè di coloro che, più di altri, hanno mostrato grande fedeltà al padrino latitante.

Così come fedele è stato per anni Vito Bigione, manager del narcotraffico originario di Mazara del Vallo. Lo hanno arrestato in Romania. Barba lunga e occhiali scuri per camuffarsi. “Mi chiamo Matteo”, ha detto ai poliziotti della Mobile di Trapani. Per anni Bigione, per conto della famiglia di Mazara del Vallo, ha gestito le rotte della droga fra Sudamerica ed Europa facendo da collante tra Cosa Nostra, ‘ndrangheta e cartelli sudamericani. Proprio in Sudamerica, ormai una decina di anni fa, sarebbe stato avvistato Matteo Messina Denaro.

Bigione era parecchio rispettoso con Vito Gondola, l’ultimo capomafia di Campobello di Mazara morto l’anno scorso alla soglia degli ottant’anni. Messina Denaro si fidava ciecamente di Gondola. Fino al marzo 2010 il sistema di trasmissione della corrispondenza era stato gestito dai cognati del latitante, Vincenzo Panicola e Filippo Guttadauro, e dal fratello Salvatore. Quando furono tutti arrestati, il latitante guardò al passato per rimpiazzarli. E scelse Gondola che era già presente alla cena organizzata nel dicembre del 1991 a base di ostriche, aragoste e Dom Perignon nella casa di Tonnarella dove dimorava Totò Riina. Fu lì che il ‘capo dei capi’ decise di sterminare i nemici della mafia marsalese.

Tutti le indagini che hanno portato ai due arresti e al sequestro di armi sono coordinate dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi e dall’aggiunto Paolo Guido, e cioè gli stessi che magistrati che cercano Messina Denaro. Qualcosa ribolle nel Trapanese. Speriamo porti al latitante. Di certo i tre eventi di cronaca sono un segno che il territorio è presidiato.


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