PALERMO – “Ha l’imputato, paludandosi sotto l’abito del suo apparente sacerdozio, approfittato della debolezza psicologica di numerose donne per soddisfare pulsioni e porre in essere azioni a sfondo sessuale?”. Il processo a padre Anello ruotava attorno a questa domanda. Secondo il Tribunale che lo ha condannato, la risposta è “sì”.
Da qui i sei anni e dieci mesi di carcere che sono stati inflitti al sacerdote che avrebbe palpeggiato alcune donne durante gli esorcismi. Le vittime, a cui è stata riconosciuta una provvisionale di cinque mila euro ciascuno, si erano costituite parte civile con l’assistenza degli avvocati Antonella Arcoleo e Ambra Di Cristina.
Nelle motivazioni della sentenza il giudice Lorenzo Matassa smonta la tesi difensiva secondo cui, ci sarebbe stato “una specie di accordo inconfessabile (al limite del complotto) tra le persone offese mirante a distruggere l’imputato”. Circostanza che emergerebbe dal fatto “che le persone offese non avrebbero tutte adito, in modo spontaneo, le vie giudiziarie proponendo denunce e querele, ma sarebbero state – in qualche modo – costrette dalla polizia giudiziaria dopo che era stata scoperta (in tutta la sua drammatica evidenza) la vicenda relativa a Salvatore Muratore (pure lui condannato, ma in un altro processo, ndr)”.
Del complotto, secondo il giudice, non c’è traccia nel processo, piuttosto la “non facile affermazione della verità” è stata “ostacolata dalla più ancestrale tra le pulsioni umane che qui può essere sintetizzata nella parola credulità”.
Le vittime hanno creduto di potersi liberare dei loro problemi rivolgendosi al sacerdote. Tutte condividevano “una condizione di inferiorità psichica per effetto del loro sentimento religioso portato al parossismo, per causa della suggestionabilità e della fragilità psicologica, per esito di disperazione innescante il convincimento (privo di qualsivoglia raziocinio) di essere posseduti dai demoni e dalle forze maligne: l’incapacità di distinguere il mondo reale da quello immaginario e una sostanziale inadeguatezza culturale che vincola ad ancestrali credenze tribali”.
Le vittime hanno scambiato la loro fragilità umana per un segnale della presenza del maligno. Come la donna che ha raccontato: “Il mio malessere non è mio, non è colpa mia se sto così, ma perché dipende dal demonio, nel mio caso riguarda il non avere figli”. Ed è per questo che le vittime hanno creduto “negli esorcismi come strumento rimotivo del loro male di vivere”.
La difesa ha sostenuto che i racconti dettagliati delle donne fossero frutto di suggestione. Ed invece Anello, scrive il giudice, “non solo è ‘peccatore’ (come egli stesso assume), ma anche delittuosamente colpevole dei suoi reati contro la libertà sessuale e contro queste donne, vittime – prima ancora delle sue azioni – delle loro stesse ancestrali ed irragionevoli credenze”.
Il rapporto fra padre e Anello e le vittime si sarebbe basato suquello che padre Cataldo, ha definito “l’equivoco del diavolo”. Padre Cataldo, al secolo Benedetto Migliazzo, uno dei più anziani esorcisti della Sicilia, ha spiegato che padre Anello non era autorizzato a svolgere esorcismi.
“In realtà – conclude il giudice – la semplice e testimoniata evidenza delle cose – proveniente dalle stesse parole di un esorcista professionista – è quella che le parti intime delle donne non si toccano neppure nel caso delle “preghiere di liberazione” e ciò al fine di evitare che il diavolo ti colga nel suo maligno equivoco e ti trascini in una sorta di inferno”. Da queste motivazioni si ripartirà nel processo di secondo grado: la difesa di padre Anello ha fatto ricorso in appello.