Caro Leoluca Orlando,
Tu sei Palermo, nel bene e nel male. Lo sei nelle memorie in bianco e nero che ci sbirciano dai cassetti di ieri. C’eri tu quando andavamo a scuola, nell’epopea delle lotte studentesche, dei portoni serrati e degli striscioni incandescenti della protesta e della speranza. C’eri tu – da deputato e non da sindaco, ma c’eri – nel corteo muto che accompagnava il feretro di Giovanni Falcone e le spoglie di Paolo Borsellino. Ed eri sempre un centimetro avanti nel promettere che Palermo sarebbe diventata bellissima.
E c’eri tu – da regnante, con la tua fisicità riconoscibile come un’ombra benigna – nella città che cambiava il suo corpo e i suoi orizzonti. Ed è innegabile che non si possa fare a meno di te – a prescindere dalle alchimie democratiche delle elezioni – che tuo sia il volto che ci descrive più che rappresentarci. C’eri e ci sei, in un arco temporale che rimescola passato, presente e futuro, divertendosi a confondere la prospettiva. Tanto camminare insieme con una simile empatia, venata di rancori e soprassalti, forse può chiamarsi affetto, se non amore. Ma il punto è proprio questo: sei e sarai ancora degno della fedeltà che ricevi?
Perché il dubbio è venuto a coloro che ti preferiscono come a coloro che dicono di non sopportarti e che, invece, ti amano con inesausta ferocia. Un interrogativo nato dal tuo non esserci – politicamente – più.
Ricapitoliamo i recenti accadimenti della tua lunghissima storia da “Se vinceRete, avrete giustizia”a “Il sindaco lo sa fare”. La vittoria alle ultime comunali, soprattutto per mancanza di avversari credibili, i giorni iniziali di governo in una comunità che va deperendo vistosamente, in sovrabbondanza di munnizza e latitanza del resto, nonostante le dolcissime nenie dei pianoforte all’alba, gli alamari della cultura, le mirabilie del Massimo e l’armamentario delle suggestioni.
Poi, la Grande Sfiga per le regionali. La tentazione del protagonismo. La seduzione della prima pagina. Un’altra gioiosa macchina da guerra da condurre. E una nuova rete, tessuta intorno al rettore Fabrizio Micari, persona perbene, di notevole calibro umano e culturale, non proprio lucida nel soppesare i pro e contro. Fabrì, ti candidi? Lo sventurato rispose di sì. La disfatta è nota e non vale la pena ripercorrerla.
Ma c’è un’altra storia da rievocare, caro Luca. La cronaca della tua assenza nel disfacimento di una municipalità non governata, sporca, caotica e invivibile. Tu non ci sei. Più che invisibile, risulti impigliato in un altrove, in un’atmosfera da Palazzo d’Orleans, o – perché imbrigliare l’arabesco di certi sogni – in un vagheggiamento da Palazzo Chigi, perfino nel tinello, se ci fosse posto.
Sei come disperso nella tua capitale privata, nelle contrade della tua ambizione che agogna riconoscimenti superiori, non accontentandosi del reame di Palazzo delle Aquile. Eppure, è quasi scientificamente dimostrato: Palermo è la tua capigliatura di Sansone che, una volta tagliuzzata, ti consegna alla debolezza. Mai hai raccolto oltre i confini la stessa fama di cui godi tra le tua mura.
Intendiamoci, “fuori” sei pur sempre Leoluca Orlando, un personaggio di risaputo spessore. Tuttavia, “dentro” sei il SinnacoOllando, genio del luogo, con la sua impronta indelebile. Palermo è il tuo portafortuna, il tuo destino, la tua forza. Palermo sei tu, nel bene e nel male. E troppo spesso lo dimentichi. E’ un vecchio paradosso, caro Luca, ogni volta che, da grande, cerchi di diventare grandissimo, ritorni piccolo, subisci un brusco ridimensionamento, ti rintani un una citazione di Goethe per leccarti le ferite.
Ed ecco il nodo di tutto. Che farai, ora che hai malamente perduto la battaglia campale del rettore-governatore? Chi sarai da qui in poi?
Sarai il reuccio corrucciato che aspetta un’occasione migliore, tessendo trame, immaginando vendette, nel disinteresse per un regno che ritiene minuscolo e inappropriato alla sua dismisura? O sarai il sindaco che da troppo tempo non sei più e ti occuperai finalmente di cose semplici, della munnizza, del traffico, della sporcizia, del caos, perché non tutti i pianoforti che suonano all’alba bastano dove c’è fame di normalità?
Caro Luca, amerai finalmente Palermo?