PALERMO – Ci sono due storie di questa tornata elettorale che destano una certa impressione se accostate. Due esiti per certi versi sorprendenti che meriterebbero un approfondimento sociologico prima che politico.
La prima storia arriva da Trapani. Dove all’indomani della formalizzazione delle candidature uno dei favoriti, il deputato regionale Mimmo Fazio, finisce agli arresti. E nella bufera mediatica. È indagato dalla procura di Palermo con l’ipotesi di corruzione. Da arrestato vive un pezzo di campagna elettorale. Poi la misura cautelare cessa, non ovviamente l’inchiesta. Che però non ha scoraggiato i suoi elettori trapanesi. Tanto da fare di Fazio, che si protesta innocente, il candidato più votato al primo turno con il 32 per cento dei consensi, in pole position per il ballottaggio. E questo malgrado le accuse dei pm, i rischi delle conseguenze dell’indagine, rischi che riguardano anche l’istituzione visto che la legge Severino prevede la decadenza in caso di condanna anche non definitivo, gli articoli di stampa, lo sputtanamento da intercettazioni.
Seconda storia. Lampedusa, ultima frontiera d’Europa. Qui la sindaca più celebrata dai media, Giusi Nicolini, icona dell’accoglienza dei lampedusani, simbolo della solidarietà in un Occidente di muri e di paure, si ricandida. E prende una batosta oltre ogni previsione, finendo addirittura terza. E questo malgrado la beatificazione dei media nazionali, l’invito alla Casa Bianca da Obama al seguito di Renzi, i riconoscimenti internazionali piovuti ai massimi livelli sul suo mandato. Niente: tre quarti dei lampedusani mandano a casa la grintosa sindaca dell’accoglienza per la quale si era ventilata addirittura una possibile candidatura alla presidenza della Regione benedetta da Matteo Renzi.
E sull’isola della solidarietà si consuma tra l’altro la spaccatura tra le due icone più celebrate dalla narrazione degli ultimi tempi, Nicolini e il dottore Pietro Bartolo, salvatore di migranti tra l’altro protagonista del fortunato “Fuocoammare”, che pare abbia sostenuto a questo giro l’avversario della sindaca. Contro la quale, insomma, si ritorce un pezzo (da novanta) della spettacolarizzazione del fenomeno Lampedusa a cui si è assistito negli ultimi tempi.
Due storie, quella di Fazio e quella di Giusi Nicolini, che forse dovrebbero suscitare qualche interrogativo sulla “opinione pubblica” e su come quest’ultima venga influenzata dalla buona e dalla cattiva stampa. Senza neanche andare a scomodare la “questione morale” e con tutto il garantismo possibile, il caso di Trapani è alquanto sorprendente, come lo è, almeno dalla terraferma, la caduta della sindaca-icona, a cui forse la sovraesposizione mediatica non ha giovato. È un rischio comune, per il quale sono necessarie spalle larghe e un feeling robusto con il proprio elettorato, come racconta l’ennesima vittoria di Leoluca Orlando a Palermo. Per il quale certo in questi anni la retorica antimafia è stato strumento utile ma non esclusivo, accompagnandosi a una cultura di governo che evidentemente riscuote ancora la fiducia dell’elettorato. Un feeling che, in questo curioso parallelismo, Mimmo Fazio malgrado tutto pare abbia ancora con un terzo dei trapanesi, ed è sorprendentemente mancato a Nicolini verso tre quarti dei suoi compaesani. Le campagne mediatiche, insomma, non camminano sempre di pari passo con l’elettorato. Che può steccare – accade non di rado in democrazia – ma ha pur sempre l’ultima parola.