Mafia, le carte di Genova e "la verità" nascosta sulla Strage dei picciriddi

Mafia, le carte di Genova e “la verità” nascosta sulla Strage dei picciriddi

I quattro ragazzi che avrebbero scippato la madre di Santapaola

CATANIA – Quattro ragazzini spariti nel nulla, quattro fantasmi che ciclicamente riaffiorano con la stessa violenza di un incubo. “Sì, ti sto dicendo come sono andate veramente le cose…”. Nelle carte dell’inchiesta che si è abbattuta sulla Regione Liguria e che hanno portato il presidente Giovanni Toti agli arresti, c’è una intercettazione che riporta a galla quanto accaduto nel luglio del 1976 nelle campagne tra Riesi e Mazzarino, nell’entroterra siciliano. Tra tante amnesie, arriva forse un tassello di verità che potrebbe aprire uno squarcio.

La “Strage dei picciriddi”

L’episodio è passato alla storia come la “Strage dei picciriddi”, sul quale è stato scritto anche un libro: “La punizione” di Salvatore Scalia (Marsilio ed). Ovvero, la strage dei bambini, anche se bambini non lo erano da tempo: Benedetto Zuccaro (15 anni), Giovanni La Greca (14), Riccardo Cristaldi (15) e Lorenzo Pace (14). I loro corpi non verranno mai trovati.

Quattro ragazzi del quartiere San Cristoforo di Catania colpevoli (secondo le voci del popolo) di avere scippato e ferito l’anziana Cosima D’Emanuele. Ovvero, la madre di Salvatore, Nino e Nitto Santapaola. Tre fratelli molto particolari. Esponenti di punta, allora, del clan Ferrera, quando gli equilibri interni alla mafia catanese erano ben altri.

La condanna a morte

Il pentito Nino Calderone, fratello del boss Pippo detto “Cannarozzu d’argentu”, racconterà che sui quattro ragazzi fu emessa una condanna a morte ostinata e irrevocabile. Un gesto fuori dalle regole che sconcertò in tanti all’interno degli ambienti criminali.

A partire dal boss Giuseppe Di Cristina, “la tigre di Riesi”, che non riuscì a impedire che la sentenza fosse eseguita proprio nelle campagne del suo territorio. Perché è lì che furono imprigionati prima di essere – secondo il racconto di Calderone che si autoaccusò – strangolati a uno a uno. Il travaglio di quelle ore è sia nei verbali che nelle pagine del libro del giornalista Pino Arlacchi “Gli uomini del disonore”.

Una vicenda terribile che s’inserisce in una fase ben precisa della storia di Cosa Nostra: la scalata al vertice dei Corleonesi di Totò Riina. E dei Santapaola, alleati d’acciaio nella città di Catania. Ma anche il tracollo della nomenclatura precedente, segnata anche dagli omicidi di Pippo Calderone e Giuseppe Di Cristina.

Di quella strage sono stati accusati i fratelli Santapaola. E sono stati assolti.

Le carte di Genova

Cosa emerge dalle carte di Genova e già diffuse dal Corriere della sera? “Sì, ti sto dicendo come sono andate veramente le cose… non le sa nessuno, bene, bene, bene…”. A parlare è Venanzio Maurici, intercettato mentre sta dialogando con il cugino Franco Maurici e Luigi Mamone. Stanno parlando di Pino Cammarata, il capo dela famiglia Riesi in carcere dal 2002 (attualmente sta scontando l’ergastolo a Sassari).

“Queste cose qua che stiamo dicendo adesso qua… – si legge testualmente nei verbali – tutto è successo quando hanno arrestato a Pino… che avevano coinvolto per l’omicidio di quei quattro ragazzini… eh!… di Santapaola… a Mazzarino… perché… siccome è successo a Mazzarino… per la legge… Pino doveva saperlo per forza… perché il mandamento… che ci indicavano a lui… era di Riesi, Mazzarino e… inc… arrestano a Pino… quello non sapeva un cazzo… ma vero… non sapeva un cazzo eh!… però se lo portano… e quando i gatti mancano…”.  

Il caso sarà riaperto? Vedremo.


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