PALERMO – “Così implodiamo”. L’urlo arriva dalle province. Ma il timore era già emerso, in tutta la sua concretezza, dentro i palazzi palermitani. C’era una volta il Pd in Sicilia. Ossia un partito che, tra contraddizioni e tensioni, alla fine una linea l’aveva. Adesso sembra essere saltato tutto. E a fare da detonatore, innanzitutto le due competizioni elettorali ravvicinate: il flop delle Regionali e la faticosa gestazione delle liste per le Politiche, insomma, hanno definitivamente polverizzato un partito che si era già frantumato, tra accuse, veleni e polemiche, dentro Palazzo dei Nomanni non troppi giorni fa.
Le liste, dicevamo. Quelle che dovrebbero portare gli uomini e le donne del Pd a Montecitorio e Palazzo Madama. Proprio sull’indicazione di questi nomi si è accesa l’ultima miccia, quella che rischia di condannare il Pd anche alle prossime elezioni. Il mancato coinvolgimento degli iscritti, delle realtà locali, nella scelta delle candidature ha fatto montare il malumore, e a suon di documenti condivisi e diffusi a mezzo stampa si sta esprimendo la protesta. “I candidati dei collegi uninominali e plurinominali li devono scegliere i territori. Non possiamo permettere a nessuno di farlo al posto nostro, chiunque esso sia”, scrivono i segretari cittadini Pd della provincia di Caltanissetta, alle prese in questi giorni con il caso di Daniela Cardinale, figlia dell’ex ministro di Sicilia Futura, “benedetta” anche dal presidente del Pd Giuseppe Bruno. “Non è soltanto una questione di nomi, ma soprattutto di metodo”, fa eco il Pd di Agrigento.
Il segretario regionale del partito, Fausto Raciti, si smarca: “Non dipende da me”, dice. E poi aggiunge: “Sono consapevole che serve un maggiore coinvolgimento dei territori ma non ho una soluzione adesso”. Intanto, dopo la convocazione andata a vuoto dei primi di dicembre, Raciti annuncia: “Convocherò la direzione regionale per questo fine settimana”. L’ultima si era svolta cento giorni fa. Cento giorni che hanno cambiato tutto. In quell’occasione, il Pd tributava una standing ovation a Rosario Crocetta, nei suoi ultimi giorni da governatore, e “sposava” l’ipotesi del candidato indicato da Orlando, Fabrizio Micari. In questi cento giorni, il pasticcio della lista dei territori, il flop elettorale, le solite faide interne, i rapporti di nuovo tesi con qualche alleato, fino all’approdo a Sala d’Ercole del gruppetto Pd.
IL PD ALL’ARS – Un approdo condito anche in questo caso da polemiche. Perché anche all’Ars, l’impressione è stata quella di un partito che non è un partito. Ma che è semmai somma non più di correnti, ma di ambizioni personalissime. Emerse in occasione del voto per il presidente dell’Ars prima, e per le altre poltrone del Consiglio di presidenza. Con qualche big a puntare il dito contro i colleghi in parlamento: “Traditori. È una vergogna”, sono solo alcune delle frasi depositate in quei giorni dentro comunicata stampa di fuoco. Un “caso”, quello dei franchi tiratori Dem che hanno votato insieme e in accordo col centrodestra, che alla fine non è mai stato chiarito, almeno pubblicamente. Con tutti i deputati, in forme diverse, ad allontanare da sé il sospetto. Trasmettendo all’esterno, invece, una certezza: qualcuno di loro stava mentendo. Erano i giorni in cui anche i “Giovani democratici” uscivano pubblicamente manifestando il proprio imbarazzo per le scelte del partito. Che erano, poi, scelte poco più che individuali. Il partito, infatti, non c’era.
IL PD DI AGRIGENTO – Così, scesa la polvere delle polemiche di Palazzo dei Normanni, ecco – forse le cose non sono poi così slegate – le nuove tensioni per le liste delle Politiche del 4 marzo. La paura è che tutto si risolverà con dei “paracadutati da Roma”, candidati che saranno imposti al territorio a cui poi sarà chiesto di votarli, contando sulla mera appartenenza partitica. “No, adesso basta, siamo stanchi”, avvisa adesso Giuseppe Zambito, segretario provinciale del Pd di Agrigento. “C’è uno stravolgimento del concetto di rappresentanza. Nell’indicazione dei nomi dei candidati non conta più il merito e il lavoro svolto quanto la capacità di intessere ottime relazioni interpersonali”, dice, facendo riferimento anche al lavoro che i parlamentari uscenti della provincia, come Tonino Moscatt e Maria Iacono, stanno facendo per guadagnarsi un posto in lista. “Il Pd – aggiunge Zambito – non può reggere a una nuova batosta, che arriverà certamente se non riusciremo a coinvolgere tutto il Partito nella scelta dei candidati. Rischiamo l’implosione o la diaspora verso altri movimenti”, conclude, intendendo, anche se non esplicitamente, a “Liberi e uguali” di Pietro Grasso.
IL CASO CARDINALE – Malessere ancora più pronunciato nel Pd nisseno, dove gli iscritti hanno dovuto assistere impotenti all’investitura da parte di Giuseppe Bruno (che rappresenta da sempre l’area del partito che si rivede in Matteo Renzi e nel sottosegretario Davide Faraone), presidente del Pd siciliano, di Daniela Cardinale, figlia di Totò, leader di Sicilia Futura. “Massima intesa tra Pd e Sicilia Futura – scrivono in una nota i rappresentanti di Sicilia Futura – che con in testa tutti i suoi dirigenti, da Beppe Picciolo ad Elio Sanfilippo, ha teso la mano ad un Partito democratico che può tirarsi fuori dalle secche e ricominciare a prendere il largo con l’apporto sincero di quelle forze politiche che conoscono da vicino le esigenze del popolo”.
Il Pd nisseno è quindi con Cardinale? Macché. “Da molti anni siamo abbandonati e non rappresentati. Ormai – è scritto in un nota della conferenza dei segretari cittadini Pd di Caltanissetta – è completamente venuto meno il legame che un parlamentare ha l’obbligo di mantenere con il proprio territorio. Questa volta non possiamo accettarlo e non possiamo consentire che le candidature vengano scelte tenendo conto esclusivamente di accordi romani o palermitani e mai delle nostre esigenze”. Dopo il documento, firmato da tutti i circoli del territorio a eccezione di quello di Mussomeli, comune di riferimento di Daniela Cardinale, Giuseppe Gallè, segretario provinciale di Caltanissetta afferma: “Questo è l’ultimo appello, poi rischiamo l’implosione”. Ma il Pd è già esploso.