Lorefice, Grassi e i politici | Il consenso che più conta - Live Sicilia

Lorefice, Grassi e i politici | Il consenso che più conta

Don Corrado e il monito alla politica durante il Festino.

SEMAFORO RUSSO
di
3 min di lettura

C’è un punto del messaggio alla città dell’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, pronunciato in occasione del Festino di Santa Rosalia, che merita uno specifico approfondimento. Uno dei tantissimi passaggi di un discorso appassionato e coraggioso ricco di contenuti etici e sociali, soprattutto denso di sollecitudine pastorale in una fase regressiva della storia d’Italia e d’Europa in cui certe verità espresse “apertis verbis” – specialmente sulla dolorosa questione dell’accoglienza dei migranti che fuggono da situazioni disperate trovando spesso la morte – possono provocare, come le provocano, reazioni violente e insultanti.

Monsignor Lorefice, citando Libero Grassi ucciso dalla mafia per non essersi piegato al racket e al pizzo, diffida del seguente automatismo: avere molti voti uguale avere comunque ragione. Grassi metteva in guardia dall’ambiguità pericolosamente fuorviante di tale sbrigativa equazione. “Non è la quantità del consenso elettorale che fa la democrazia – affermava lucidamente l’imprenditore palermitano odiato dai boss di Cosa Nostra – non si è uomini della Polis, uomini “politici” forti solo se si prendono tanti voti alle elezioni. Ciò che conta è la qualità del consenso, ovvero la sua libertà, il suo essere frutto di una scelta e di un pensiero”.

Don Corrado lancia quindi un avvertimento per scongiurare lo scivolamento verso forme di consenso variamente drogato, lontane, tra l’altro, dall’art. 3 della Costituzione, da lui ripetutamente ribadito, che consacra l’uguaglianza tra le persone senza distinzioni di sorta. Il principio-cuore della Dichiarazione universale dei diritti umani, firmata a Parigi nel dicembre del 1948, secondo il quale “tutti gli essere umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.

Ha fatto bene don Corrado a smentire quell’automatismo, in un’epoca in cui improbabili statisti sedicenti rivoluzionari seduti ai posti di comando, alcuni dei quali in normali condizioni a malapena potrebbero vendere zucchero filato in un luna park di periferia, ostentando un vasto consenso popolare stanno mettendo oggettivamente in discussione – in modo più pervasivo e inquietante perché cristiani rispetto agli “invasori islamici” – le radici stesse della nostra civiltà cristiana (a volte incredibilmente evocata per giustificare razzismo e xenofobia come nell’America dello schiavismo) insieme ai fondamenti laici della nostra Carta costituzionale; e in una terra, la Sicilia, nella quale mafiosi, amici di mafiosi e politicanti venduti alla pratica del favore hanno raccolto e ancora raccolgono palate di voti pur sapendo bene l’elettore chi sta votando e cosa costoro in negativo rappresentano.

Fintanto che il consenso libero, cioè “frutto di una scelta e di un pensiero”, rimarrà minoritario non sarà a rischio solo la qualità morale delle istituzioni e la loro capacità di rispondere soltanto al bene comune, ma sarà a forte rischio la tenuta della nostra democrazia con i suoi principi non negoziabili di uguaglianza e solidarietà oggi alla mercé di mediocri personaggi animatori dell’ostilità verso lo “straniero” per ottenere in cambio sondaggi favorevoli. Quella stessa democrazia nata dalle ceneri del fascismo improvvisamente disconosciuto sputando sul cadavere di Mussolini da quegli italiani, magari devoti cattolici, che però nel Ventennio liberticida e responsabile di massacri nella conquista coloniale di terre africane acclamavano il Duce, anche dopo la promulgazione delle vergognose leggi razziali, addirittura quale dono inviato dalla Divina Provvidenza.

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