Loro stanno con Silvio - Live Sicilia

Loro stanno con Silvio

"Non mi importava incontrare Berlusconi, ma la “sua” gente. I miei concittadini a lui devoti. Immergermi tra loro, ascoltare, capire".

PALERMO – Alla fine ci sono andato. Da Silvio Berlusconi, al Politeama, intendo. Per vedere l’effetto che fa. Lungo il percorso, vari interrogativi. Occorrevano gli inviti per il comizio? Ci sarebbe stata molta gente, tanta da non scavarmi una via di accesso al teatro? E dove avrei trovato ressa? Già a partire da piazza Croci? Sarebbe stata lunga e snervante l’attesa? E poi: sarei riuscito a cogliere appena una sagoma indistinta sul podio o il “suo” volto a discreta distanza, sufficiente a confermare o smentire la pubblicistica che lo vuole mascherato da artifizi cosmetici?

Giunto a pochi metri dal teatro, però, questi dubbi sono svaniti di colpo. Ho capito di aver sbagliato il reale obiettivo della mia impresa. Non mi importava incontrare Berlusconi, ma la “sua” gente. I miei concittadini a lui devoti. Immergermi tra loro, ascoltare, capire. L’approdo a piazza Ruggero Settimo non è stato promettente. Presidiavano sparuti gruppi di passanti. I pasionari del cavaliere erano più in là, accalcati alla cancellata del foyer. Ho accelerato l’andatura. L’impatto visivo offerto da costoro era già più accattivante. Non è difficile imbattersi in teste e volti che nulla hanno a che fare col cappello che gli offre ombra, ma in questo caso posso dire di essermi trovato a un festival dei copricapi fuori posto. I capellini – di un bianco gita parrocchiale spezzato dal tricolore e da un bollino con la scritta “Silvio Berlusconi” (chi altri?) – devono averglieli distribuiti in separata sede. Così come i cartelli “Io sto con Silvio” branditi in loggione (“Li hanno preparati loro per accogliermi”, avrebbe disinformato poi il cavaliere). Tutto molto romantico, se non fosse che sotto i berretti restano i volti. E quelli non sempre li puoi travisare con una mossa di marketing.

Ho visto, questa mattina a Palermo, all’ombra di quelle visierine, facce scalpellate da una vita ruvida. Donne che non hanno tempo per battagliare con i peli superflui, figuriamoci con la politica. Volti di bambini furbi e dissacratori, più dei padri che li avevano trascinati fin lì, chissà con che favola. Ho visto ragazze di vicolo rabbuiate da un trucco sbagliato. Alcune di loro si erano liberate subito del cappellino perché la lacca costa, e dal parrucchiere ci si vede fra un anno. Poi ho ascoltato. Tra gli astanti, ha serpeggiato una speranza antica come l’uomo e, forse, l’unica buona ragione del perché fossero tutti lì. La fame. “Ora n’hanno a pagare u’ pranzo”, ha ricordato una giovane. “’Nca certo! ‘Nni invitaru e chi fa? Ni lassanu diuni?”, ha risposto, rauco, un anziano padre. “Meno male che Silvio c’è”, ha motteggiato una donna, preparando una rima: “Così il posto di lavoro ce lo lasciano dov’è”. “Forza Palermo!” ha gridato un militante noto alle tv locali per i suoi commenti sportivi. “Se! In serie B!”, lo ha raggelato un giovanotto con le mani sproporzionate.

Qualcuno ha cercato di penetrare la ressa grazie alla bugia di un complice che lo chiamava “onorevole”. “Onorevole la minchia! La scusa per entrare prima!”, ha sbottato una fanciulla in coda. “E io sugnu u presidente da’ Repubblica”, ha masticato un vecchio. “Se tutti faressimo così, entrassimo subito”, ha completato la stessa ragazza. E questo punto il fratellino ha tessuto un capolavoro di disincanto: “Faressimo? Ma zittuti, ca non sai manco parlare l’italiano!”.

Frastuono. Le porte del teatro a quel punto si erano aperte.

Sono rimasto poco al comizio. Il tempo di imbattermi in una tizia in lacrime che giurava a se stessa: “L’ho visto! Non ci posso credere! E’ successo, finalmente!”.

Dovevo uscire. Mi mancava altra piazza. Altra gente.

Ne ho scoperta pochissima, fuori, davanti ai maxischermi che diffondevano le parole di Berlusconi sotto le antiche e scrostate volte. Il sole della mattina si era oscurato e stava cominciando a piovere.


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