L’Università fa schifo. L’Università di Palermo fa schifo, in percentuale, un po’ come tutte.
L’Università di Catania fa schifo, come sopra. Ragionevolmente, possiamo supporre che ovunque ci sia un’Università alligni una quota di schifo, con rispetto parlando. E, saremmo pronti a giurarlo, Università e schifo sono, perlomeno, termini contigui, soprattutto in Sicilia, dove l’etica ha il battito del polso debole.
Certo, ottimi professori che già insorgete con i vostri libri e le vostre eccellenze, ci saranno pure le eccezioni meritevoli, le mosche bianche. E il volto dell’istituzione ha ancora frecce nobili al suo arco per ispirare legittima fiducia. Tuttavia, il panorama racconta altro.
Non c’era mica bisogno che un rappresentante della categoria dei docenti fosse sputtanato in tv dal coraggio di una ragazza per descrivere una miscela vecchia come il cucco di sesso, ricatti & abusi di potere. Quello è stato appena appena lo choc della rappresentazione, l’assassinio della decenza in mondovisione.
Ma la pubblicità efferata del fatto ha solo confermato quello che già si sa, ciò di cui già si parla senza vergogna.
Si sa che le nostre Università sono terre spesso inabitate dal criterio della meritocrazia. Si sa che certi cognomi, alle volte, fanno carriera e altri no. E, per appurarlo, basta sfogliare gli elenchi.
Si sa che le cattedre si tramandano di padre in figlio. Si sa che pochi baroni tengono il piede sul tubo dell’ossigeno, sbertucciando la vita di questo e di quello, inserendo a piacimento le tessere di un mosaico (per loro) conveniente. Si sa che il sesso può pagare all’esame. E nulla si fa.
E tutto si disperde nei rivoli delle chiacchiere da bar, nei luoghi comuni, nel parlatoio delle confidenze maliziose. Si sa e nessun problema ci tocca finché il sapere resta confinato nel recinto del pettegolezzo fondato, nel cono d’ombra dell’omertà. Poi arriva la telecamera. E coloro che sapevano fanno “ooohhh“, come i bambini scemi di una canzone insopportabile.
Ed è proprio questo accorato e finto gemito collettivo a provocare un repentino giramento di scatole, un sussulto rabbia. Sapevate. Sapevamo. Conoscevamo la faccia oscura e oscena dell’Università. Allora perché l’ipocrisia? Perché fingere di non sapere?