Ma vogliamo ancora | una targa per Norman? - Live Sicilia

Ma vogliamo ancora | una targa per Norman?

La storia di Zarcone
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(rp) Ma vogliamo ancora una targa per Norman affissa nella facoltà di Lettere di Palermo? Non sarebbe meglio scrivere il suo nome su un foglietto e appuntarlo su un fiore di campo, nell’erba più umida di un prato qualsiasi? Ma vogliamo davvero regalare Norman Zarcone a coloro che hanno mostrato, con quest’ultimo gesto vigliacco – con  la rimozione di un simbolo d’amore – di non meritarlo, di non averlo mai meritato? Perché – si badi – lo scempio non sta nel non accettare la targa, una posizione legittima e argomentabile, alla luce del sole. E’ il blitz anonimo che grida vendetta.
Lo chiediamo a Claudio, il padre che ha iniziato lo sciopero della fame, con affetto e rispetto. Che ti importa? E’ tanto essenziale leggere in oro e legno “Norman Zarcone” sull’uscio di un’istituzione “ipocrita”? Tu stesso hai levato il tuo indice di accusa: hanno tradito i sogni di mio figlio, hai detto. Perché gli consegni perfino il nome?
Lo sappiamo. Questa è una storia piena di voltafaccia e di bugie. Di gente che si è appoggiata a lacrimare su spalle incurvate dal lutto. E ha dimenticato le promesse giurate sull’anima di un corpo spezzato, una volta al sicuro in strada. Non hanno nemmeno il coraggio di guardarti negli occhi. Le targhe le sfilano via quando si percepiscono non visti. E affastellano spiegazioni da legulei e azzeccarbugli. E sommano formule e bizantinismi, per cadere sul tappeto soffice di coloro che vincono dalla parte della ragione di Stato, perché hanno perso la misura giusta del cuore.

Vogliamo che Norman sia una targa per le pupille della gente assonnata e distratta, per le maledizioni dei suoi nemici naturali, per l’alterigia di coloro che si sentono superiori a chiacchiere e distintivo, nella retorica del “Non dimenticare”? Forse è il caso di voltare le spalle all’opacità che tutto sommerge. Voltiamo pagina. Portiamolo via, Norman Zarcone. Via, lontano dal teatro della sua morte e della sua sofferenza di ragazzo. Via, da qualche parte, su  un prato, su una nuvola, su una ragnatela. Ovunque possa danzare, libera, la memoria che non pretende doppi cognomi. Ovunque soffi l’amore che non chiede mai il biglietto da visita.


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