PALERMO – Meglio morire che diventare pentito. Invece di tradire Cosa nostra bisognerebbe suicidarsi. Per Sergio Macaluso e Pietro Salsiera l’onore mafioso valeva più della vita stessa. Così dicevano e invece Macaluso ha cambiato idea. Arrestato lo scorso dicembre, ha saltato il fosso. La sua è una collaborazione di peso visto che nell’ultimo periodo aveva ricoperto un ruolo di primo piano nel mandamento di Resuttana. Di cose da raccontare ne ha parecchie, a cominciare da alcuni omicidi. Delitti finora irrisolti. Qualcuno per le dichiarazioni di Macaluso adesso rischia l’ergastolo.
Per un certo periodo Macaluso e Salsiera avrebbero preso in mano le redini dei clan martoriati dalle incessanti operazioni dei carabinieri. Quando li intercettarono erano i giorni successivi al blitz Apocalisse. In cento, fra boss e picciotti, nel 2014 finirono in carcere.
Colpa anche dei pentiti. Di quei “rovina famiglia” dei collaboratori di giustizia. C’era solo disprezzo nelle parole intercettate: “… meglio la morte… se uno si troverebbe nella vita in condizione di non saperle superare… il lenzuolo… un minuto … agnello e sugo e finiu u vattiu”. Citavano il detto siciliano, una volta consumato il piatto principale, l’agnello al sugo, il banchetto poteva dirsi concluso. Alla stessa maniera, diventare collaboratore di giustizia corrisponde alla fine di tutto. Si perde il senso del vivere mafioso.
E allora se non si è in grado di superare le avversità del carcere, aggiungeva Macaluso, “nel momento che tu sei preso dalla foga… fai il pentito, ma dico… loro ci riflettono che significa… passare tutta una vita a ricordarsi il male che hai fatto… le famiglie che hai rovinato… che non puoi più camminare… cioè ma che vita è… ma che vita è?”.
Salsiera aveva la risposta a un quesito che diventava esistenziale: “… se io dovessi capire che non ce la faccio più… mi metto in un angolo e mi faccio morire”. Macaluso era della stessa idea: “… il lenzuolo e ti affoghi… perché se non sai sopportare… uno si dovrebbe trovare… andiamo al Tribunale… a deporre… ma con quale coraggio ci vai? Ma… no… no meglio la morte, non ti seccare… meglio la morte”. “Come lo guardi in faccia a tuo figlio”, concludeva Salsiera. Di sicuro con gli occhi di un mafioso.
Poche settimane fa le cose sono cambiate. Macaluso ha iniziato a riempire verbali su verbali raccontando del suo lavoro sporco al fianco di Giuseppe Biondino. Quest’ultimo, infatti, era diventato il reggente di San Lorenzo dopo la destituzione di Giovanni Niosi che aveva scontentato un po’ tutti a San Lorenzo. A quel punto si decise di fare un lavoro sinergico. I mafiosi di San Lorenzo e Resuttana lavoravano insieme. Macaluso si mise a disposizione di Biondino, che per lignaggio mafioso meritava di comandare. Il padre infatti è quel Salvatore Biondino storico capo mafia di San Lorenzo e braccio destro di Salvatore Riina. Giuseppe Biondino nell’agosto del 2016 temette di essere arrestato e così si allontanò per un periodo con destinazione Fuerteventura, in Spagna.
Ed è proprio per il rischio di una nuova fuga, non solo sua ma anche degli altri fermati di oggi, che la Procura ha fatto scattare il provvedimento.
>L’ARRESTO DI GIUSEPPE BIONDINO
Le indagini dei Carabinieri del Nucleo investigativo fotografano i mesi successivi alla restituzione di Niosi quando Biondino e gli altri ripresero in mano le redini del clan. Cominciarono ad occuparsi di estorsioni. Nel provvedimento di fermo, firmato dal procuratore Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Salvo De Luca e dai pm Roberto Tartaglia, Amelia Luise e Annamaria Picozzi, si parla del pizzo imposto al titolare di un bar a Palermo, di un’impresa di costruzioni che stava facendo lavori in provincia ma anche di un autosalone di Partinico a cui per convincerlo a pagare bruciarono sei macchine. Fortunatamente sono arrivate le denunce a stoppare la macchina del racket.