E insomma, se Dio vuole questa loquace e velenosa campagna elettorale è finita. Potrebbe avere un seguito per il ballottaggio, ma ogni giorno ha la sua pena. Per il momento lasciateci tirare il fiato dopo questa cavalcata impazzita, in vista della lunga notte di domenica.
E con un sorriso – perché persino di fronte a cosa sacra come le elezioni non fa mai bene prendersi troppo sul serio – lasciateci ringraziare i Magnifici Sei che hanno animato queste settimane tra slogan, speranze, anatemi e sputazzate. Uno per uno, in rigoroso ordine alfabetico, ecco per che cosa siamo loro grati e cosa ricorderemo, tra l’altro, della loro campagna.
Era partito, sui manifesti, “solo coi palermitani”. È arrivato al traguardo con Totò Cuffaro, i cuffariani, Forza Italia, Marianna Caronia, i massoni, i suoi avvocati e i pm. Non manca più nessuno, tranne i due liocorni, Dart Fener ed Ezechiele Lupo, che probabilmente saranno designati assessori dopo il primo turno. Considerando che l’altra volta andava in giro a far campagna con Crocetta, forse può migliorare nell’organizzarsi la comitiva. Gli siamo grati per aver messo tanto impegno nella sfida e anche per essersi definito il Macron palermitano, atto Coraggioso (con la C maiuscola) che ha sfidato il rischio di azioni legali dell’Eliseo.
All’inizio della campagna elettorale i palermitani non lo conoscevano. Alla fine, non lo conosceva solo Beppe Grillo. Certo, non è bello quando il sommo leader del tuo Movimento non si ricorda manco come ti chiami. Chissà se Forello anche per questo si costituirà parte civile. Comunque vada l’11, questa campagna gli lascerà la bella esperienza di avere assaporato un ambientino familiare, rilassato e colmo d’amore fraterno come quello del Movimento 5 Stelle palermitano. E già solo per questo siamo grati (e solidali).
Il 17 febbraio aveva detto no grazie alle avances di Salvini perché lui era “per l’accoglienza”. O nel frattempo Salvini ha cambiato idea nel segreto del suo cuore, o ha cambiato idea lui. O magari Ismaele ha scambiato Salvini con Salvino, Caputo. Vai a saperlo. I suoi manifesti elettorali tipo locandina hollywoodiana insieme al suo mitico lapino sono stati tra gli elementi più simpatici di questa campagna elettorale di veleni e insulti. E per questo gli siamo grati.
Certo, quando al primo confronto pubblico tra i candidati al Don Bosco ha esordito dicendo che questa città crollerà tutta a pezzi, un certo panico è serpeggiato e in alcune borgate si sono visti interi condomini svuotarsi con fiumane di gente che si riversavano per le strade invocando la penitenza e la conversione dei cuori. Ma al netto degli annunci apocalittici, il candidato sicilianista, anzi indipendentista, ha portato nella disfida una dose di aplomb e di modi da gentleman per i quali gli siamo più che grati.
A lei siamo grati per averci ricordato che le elezioni non sono solo cosa da maschi. Ha dovuto rinunciare in campagna elettorale al suo mitologico cappello a falde larghe che avrebbe impallato il simbolo dei Verdi. Ma ha sfoggiato in compenso una solida conoscenza della macchina amministrativa comunale. Il fatto che in tutta la campagna elettorale Giusto Catania si sia fatto sentire per polemizzare con lei, probabilmente la dice lunga su come la Ztl non abbia del tutto risolto il problema della tossicità dell’aria a Palermo.
La parola d’ordine della sua campagna è stata “visione”. E in effetti la sua narrazione di una città quasi paradiso terrestre è stata per lo meno visionaria, ai limiti del trip allucinogeno. Forse aspettando un’ora alla fermata dell’autobus sotto il pico del sole inalando i miasmi di un cassonetto traboccante di munnizza, anche i palermitani potranno sperimentarla. Gli siamo grati però per averci fatto ringiovanire tutti quando ha attaccato la tiritera su lui unico baluardo contro la mafia, facendoci ripiombare di botto nel 1990. Sarà stato il suddetto trip, ma c’è sembrato di vedere sventolare i tricolori con la faccia di Totò Schillaci,