Molti anni fa qualcuno mi raccontò la storia di un ragazzo di talento, nato e cresciuto in un quartiere con numerosi problemi e altrettanti cuori intrisi di nobiltà.
Aveva, quel ragazzo fragile, una inclinazione per l’arte e c’era chi avrebbe scommesso sul suo domani. Tuttavia – così raccontarono – l’aggancio con un futuro diverso non si realizzò. Lui si smarrì.
Il resto non conta e non servono altri particolari. Una coltre di protezione va stesa intorno alla nebulosità di un destino, di cui non conosciamo gli esiti ultimi. Immancabilmente sperando in una rinascita.
Ci sono ragazzi perduti, o vicini a perdersi, a Palermo. Il procuratore Maurizio de Lucia, ai margini del mega-blitz che abbiamo descritto in tutti i dettagli disponibili, ha pronunciato parole scabre di verità su cui dovremmo soffermarci. Eccole.
“Cosa Nostra continua a esercitare il suo fascino in certi ambienti come le borgate in cui i giovani hanno alternative di vita limitate e si identificano in rappresentazioni di potenza di cui ancora gode la mafia”.
Ci sono ragazzi che crescono con il buio, nello sfascio dei cosiddetti ascensori sociali mai costruiti. Nella città dei confini invisibili e delle persone stipate all’interno di una inalienabile definizione di provenienza.
Niente giustifica la scelta del male assoluto. Ma gli orizzonti senza orizzonte si contagiano, diffondendosi. Così il male stesso può diventare un orribile segno di distinzione. Per questo “esercita fascino”.
Una suggestione che resiste, alimentata anche da una narrazione letteraria, mediatica e televisiva che usa troppo spesso l’epica, sia pure negativa, per tratteggiare ‘gli uomini del disonore’. Mentre, invece, esiste una deriva canzonettara e social che esalta la malavita e i comportamenti violenti.
Si alimenta al fuoco malato di una mitologia criminale, quel ‘fascino’, nonostante anni e anni di antimafia sui banchi di scuola. La domanda è legittima, ancorché scomoda: cos’è che non ha funzionato?
Ci sono altri ragazzi perduti, a Palermo, sulle strade del crack. Profili non accostabili ai precedenti. Vendere la droga, per conto delle cosche, è un’azione da carnefici, contro le vittime che la comprano. Scegliere la mafia è il peccato mortale.
La perdizione mette insieme esistenze diverse. Quelli che si sentono forti, sulla strada della violenza, e vivranno una vita da reclusi, con o senza blitz annesso. Quelli che intraprendono il cammino dell’auto-distruzione e, infine, la realizzano.
Lo abbiamo scritto e lo ripeteremo fino al cambiamento o alla sconfitta. Una reazione è necessaria.
Le parole del procuratore, nel commento di una brillante operazione investigativa, sono, forse, una delle ultime occasioni per il risveglio dall’assopimento collettivo, prima che sia troppo tardi.
Ormai dovremmo averlo imparato. Nessuna comunità sopravvive ai suoi figli perduti. Salvarli vuol dire salvarsi.