De Lucia: dalle indagini emerge un sistema penitenziario debole

De Lucia: Cosa nostra affascina ancora, coinvolti moltissimi giovani

Le parole del procuratore di Palermo sul blitz (video di Salvo Cataldo)
PALERMO - IL BLITZ
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PALERMO – “Le indagini che hanno portato agli arresti di oggi dimostrano che Cosa nostra è viva e presente e dialoga con canali comunicativi assolutamente nuovi, fa affari e cerca di ricostituire il suo esercito”. Lo ha detto il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia alla conferenza stampa in cui i magistrati e i carabinieri stanno illustrando i particolari del blitz antimafia che ha portato a 181 arresti.

“L’operazione fa seguito ad altri interventi che confermano la vitalità della mafia, ma anche la capacità di reazione dello Stato che continua a lavorare pur nella carenza di uomini, in Procura mancano 13 sostituti e un aggiunto”. De Lucia ha ringraziato la procuratrice aggiunta Marzia Sabella che ha coordinato l’inchiesta. 

Poi ha sottolineato il fascino che esercita ancora Cosa nostra su determinate aree sociali: “Cosa nostra continua a esercitare il suo fascino in certi ambienti come le borgate in cui i giovani hanno alternative di vita limitate e si identificano in rappresentazioni di potenza di cui ancora gode la mafia. Nell’indagine di oggi sono coinvolti moltissimi giovani e su questi dobbiamo essere particolarmente attenti. Come siamo attenti ai vecchi capi che tornano, dobbiamo stare attenti a chi viene reclutato oggi, cioè al futuro della mafia”.

“Cosa nostra vorrebbe tornare alla commissione provinciale, ma non riesce a ricostituirla – ha aggiunto il procuratore che ha parlato di come i boss palermitani non hanno accantonato il vecchio sogno. “Non c’è più du cuosu ri trent’anni fa… se l’hannu fattu tre volte e tre volte al nascere della cosa hanno arrestato a tutti… trent’anni fa si faceva e non si sapeva niente … si faceva… ora invece sappiamo tutte cose”, ricorda, infatti, non sapendo di essere intercettato, il boss detenuto Francesco Pedalino, capomafia di Santa Maria di Gesù, storico quartiere palermitano.

“Da questa straordinaria indagine della Procura di Palermo viene fuori un dato allarmante: l’estrema debolezza del circuito penitenziario di alta sicurezza che dovrebbe contenere la pericolosità dei mafiosi che non sono al 41 bis. L’inchiesta di Palermo mostra chiaramente, confermando quanto emerso in altri contesti investigativi, che il sistema di alta sicurezza è assoggettato al dominio della criminalità – ha detto il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo -. E’ un tema delicato che deve aprire una riflessione profonda”, ha aggiunto. 

L’intervento fa riferimento alla scoperta della disponibilità in mano ai detenuti, mafiosi di cellulari criptati che non sono intercettabili. “Non risulta il coinvolgimento di polizia penitenziaria, ma di certo risulta una permeabilità del sistema carcerario”, ha spiegato il procuratore di Palermo de Lucia. I cellulari verrebbero dotati di sistemi operativi molto sofisticati che li rendono non intercettabili.

Grazie a cellulari criptati introdotti in carcere illegalmente, diversi boss detenuti hanno potuto creare vere e proprie chat di gruppo con altri mafiosi, alcuni liberi, altri in cella, per parlare indisturbati di affari.  Gli investigatori hanno intercettato due indagati che, quando si sono accorti del malfunzionamento dei loro dispositivi, hanno fatto ricorso a un altro apparecchio ugualmente criptato.

Nel cercare di ripristinare il sistema e, quindi, di memorizzare i contatti riservati, hanno finito per rivelare i nominativi dei loro interlocutori dando involontariamente agli inquirenti indicazioni fondamentali. Molti dei nomi indicati appartenevano ai vertici dei mandamenti di Tommaso Natale-San Lorenzo, di Santa Maria di Gesù e di Porta Nuova.

In particolare, secondo i magistrati, appartenevano alla rete protetta di comunicazione, oltre ai due interlocutori, Nunzio Serio, detenuto e reggente del mandamento mafioso di San Lorenzo-Tommaso Natale e il fidato Francesco Stagno, il calabrese Emanuele Cosentino, referente nel traffico di droga, Tommaso Lo Presti, boss del clan di Porta Nuova (“il Pacchione… ora fa quarant’anni di matrimonio” dicono di lui i due intercettati), Guglielmo Rubino, reggente di Santa Maria di Gesù (“Guglielmo per noi si leva la vita”, commentavano), Cristian Cinà, della famiglia di Borgo Vecchio (“Cristian Borgo Vecchio”, si sente nel dialogo), e Giuseppe Auteri, a quel tempo latitante.

Tra i soggetti inseriti nell’apparato criptato, c’era anche Angelo Barone (“Orso dice che non c’è stato s’arricampò, è stato a Malta…” spiegano), alludendo all’imprenditore che ha navigato Cosa nostra nell’era dei nuovi affari dei giochi online. 


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