"Abbiamo fatto entrare l'amico tuo": estorsioni e mafia a Catania

“Abbiamo fatto entrare l’amico tuo”: mafia a Catania, estorsione al locale

I Cursoti milanesi e i Cappello coinvolti nei disordini alla Vecchia Dogana

CATANIA – Creare il problema, poi offrire la soluzione. Chiedendo soldi, accessi facili, consumazioni gratis. Il meccanismo del pizzo mafioso è consolidato, si ripete da decenni sempre uguale, e tra le carte dell’operazione Cerbero, che ha portato in carcere 21 persone, si può leggere una storia da manuale di estorsione da parte dei clan a un locale notturno, il Levante, nella Vecchia Dogana di Catania.

Protagonisti: gli uomini di due clan, quello dei Cursoti milanesi e quello dei Cappello. Che fino a pochi mesi prima si sparavano per strada ma che si muovono insieme nell’intimidire il proprietario del locale. Un’esibizione di muscoli per imporre la legge dei clan e rimarcare in pubblico presenza e potere.

Le denunce

L’intera operazione che riguarda le estorsioni partono dalle denunce del titolare e uno dei soci di Filenz srl, società che gestisce diversi locali nella Vecchia Dogana di Catania. Tra questi il Levante, dove la notte di Halloween del 2021 si presenta un gruppo di otto persone, due delle quali chiedono a un addetto alla sicurezza di parlare con il titolare.

I due dicono al titolare di fare parte dei clan e chiedono di entrare gratis: dalla società che gestisce il locale è uscito, scrive il gip, Rosario Coniglione, e dunque il Levante è privo della protezione per potere lavorare.

Da quel giorno iniziano le incursioni al Levante, con gruppi di persone che per tutti i mesi di novembre e dicembre 2021 forzano l’ingresso o entrano sfondando le finestre. La situazione degrada al punto che gli uomini dei clan aggrediscono uno dei titolari. Interviene la Polizia, che identifica due persone che in quel momento si muovono al vertice dei Cursoti milanesi, Giuseppe Piterà e soprattutto Giuseppe Ardizzone, che il capo Carmelo Distefano, in quel momento in galera, ha messo alla guida del clan.

Il capo della sicurezza

Da questo momento le forze dell’ordine iniziano a intercettare le persone coinvolte nella vicenda. Incluso il titolare del Levante, che inizia a pensare che il capo della sicurezza del locale lasci correre molto spazio tra le regole, che imporrebbero di fermare le persone che non pagano e chiedono di entrare, e quello che poi succede nella realtà.

In una telefonata il titolare si lamenta con l’addetto alla sicurezza: “Cosa vi paghiamo a fare se entrano tutti?”. Per sentirsi rispondere “E ma sono i soliti”. I soliti che in un’altra telefonata il titolare descrive così: “Fatto sta che mentre io sono qua a parlare nel frattempo ancora sta continuando ad entrare gente con queste barbe con questi tagli e li salutate con il bacio, questo è il problema”

Il titolare, parlando con uno dei suoi soci, gli dice che è l’ora di cambiare personale della sicurezza: “Si deve cambiare sicurezza, perché ormai loro sono bruciati”.

L’arrivo dei Cappello

Il quattro dicembre un’incursione costringe il titolare a nascondersi e chiamare la Polizia: “Sono lì, hanno sfondato, io mi sono chiuso ora in deposito hanno assalito le cassiere e sono entrati dentro con violenza sono sempre le stesse di venerdì scorso”. Tra gli assalitori c’è anche Sebastiano Miano “Piripicchio”, vicino al clan Cappello e condannato per una sparatoria avvenuta proprio all’Ecs Dogana nell’aprile 2022.

A questo punto si nota quello che il gip descrive come un “legame particolare” tra il capo della sicurezza, Sebastiano Miano e Giuseppe Ardizzone, ovvero con gli esponenti dei Cappello e dei Cursoti. Ci sono intercettazioni in cui un uomo della sicurezza dice al capo “abbiamo fatto entrare l’amico tuo, quello con la lacrima”, ovvero Sebastiano Miano, e altre in cui Giuseppe Piterà e Giuseppe Ardizzone lo chiamavano per prenotare tavoli e annunciare il propro ingresso.

Le intimidazioni poi continuano, con una chiara richiesta di soldi per garantire la sicurezza nel locale e un susseguirsi di risse nel locale.

Sull’operato dei clan, il procuratore di Catania Francesco Curcio ha parlato di “mafia urbana, gangsterista”, non imprenditoriale.

La società vittima dei clan ha scritto poi in una nota: “Grazie per non averci lasciati soli”


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