CATANIA – La Procura di Milano ha aperto un fascicolo d’inchiesta, iscritto come “atti relativi”, sulla morte del boss Giuseppe Salvo, detto Pippo u carruzzeri, avvenuta lunedì scorso in un ospedale milanese. Salvo era detenuto nel carcere di Milano Opera e, nonostante fosse un capomafia ritenuto pericoloso, temuto e rispettato all’interno del clan Cappello, non era ristretto con i rigori del 41 bis, il cosiddetto “carcere duro”.
Va aggiunto che – secondo quanto trapela – Salvo sarebbe morto a seguito della rottura di un femore. Aveva 76 anni. La famiglia del capomafia, assistita dagli avvocati Giorgio Antoci e Eugenio Rogliani, allo stato attuale non ha voluto rilasciare dichiarazioni. “No comment”, è stata l’unica frase dell’avvocato Antoci.
L’incarico per l’autopsia
Non si sa ancora se la famiglia, come pure sembra, parteciperà all’autopsia. L’incarico sarà dato dalla Procura martedì mattina, e in giornata si svolgerà l’esame autoptico, sempre a Milano. Sta di fatto che la morte del mafioso, evidentemente, non convince la Procura.
Nato e cresciuto nel quartiere di San Cristoforo, Salvo era il capo del gruppo mafioso del clan Cappello nel Villaggio Sant’Agata di Catania. Aveva una carrozzeria ed era capostipite di un clan di tutto rispetto all’interno dell’organizzazione parallela a Cosa Nostra. Uno dei pochi gruppi, in quella galassia malavitosa creata dallo storico boss Salvatore Cappello, ad aver avuto mire espansionistiche.
Un clan con mire espansionistiche
Negli anni Duemila, infatti, suo figlio Gianpiero, assieme all’allora genero Filippo Passalacqua, riuscirono a scalzare Cosa Nostra da uno dei piccoli centri dell’Ennese dove aveva una enclave, a Catenanuova. In un paesino dell’entroterra che rappresenta un crocevia della droga, i Cappello si fecero strada a forza di azioni eclatanti, uccidendo, per almeno due volte, i capi o i mafiosi emergenti della città. Salvo junior e Passalacqua compirono anche un’azione in piazza, nel 2008, che passò alle cronache come la cosiddetta “strage di Catenanuova”. Fu il battesimo di sangue del nuovo clan egemone in paese.
Giuseppe Salvo era detenuto dal 1990, quando finì in manette nell’ambito di un blitz che coinvolse anche dei politici. La sua “eredità” criminale è stata presa dai figli, il già citato Giampiero e Massimiliano; anche se il primo, attualmente ai domiciliari, di recente si è dissociato dagli affari mafiosi.

