Mafia a Catania, la pg sul "boss riservato": "Sentenza giusta"

Mafia a Catania, in Corte d’Appello il processo a Ciccio Napoli

Sono in 22 alla sbarra: la richiesta del pg Nicolò Marino
GLI IMPUTATI
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CATANIA – Per la procura generale presso la Corte d’appello di Catania sarebbe “corretta” la condanna inflitta a Francesco Napoli, presunto ‘rampollo’ del clan Santapaola. In primo grado Napoli, al cosiddetto processo “Sangue blu”, è stato condannato a 14 anni per associazione mafiosa aggravata. Ieri si è aperta la requisitoria del pg Nicolò Marino, nell’ambito del giudizio di secondo grado. Una requisitoria che il rappresentante della magistratura requirente d’appello ha diviso in due parti.

Si tornerà in aula infatti tra meno di un mese, il prossimo 8 luglio. Quel giorno si concluderà. Ma l’arringa di ieri lascia poco spazio a interpretazioni: si andrebbe infatti verso una richiesta di conferma della sentenza di primo grado. Sul punto “richiesta”, va precisato, spetterà al pg concludere. E a luglio si saprà anche chi, tra gli altri ventuno co-imputati di Napoli, chiederà il cosiddetto ‘concordato’, un rito che consiste nella rinuncia dei motivi d’impugnazione in cambio di uno sconto di pena.

I concordati: le richieste dei co-imputati

Una scelta che avrebbero deciso di intraprendere diversi imputati. Ma non è il caso di Napoli. I suoi legali, i penalisti Salvo Pace e Giuseppe Marletta, hanno fatto ricorso puntando su una riduzione di pena. Ma per lui, che è detenuto al 41 bis, non ci sono concordati. Non ne ha chiesti. Ieri in aula il pg ha ripercorso le tappe dell’inchiesta e del processo, le accuse dei collaboratori di giustizia e le dichiarazioni rese dallo stesso imputato in primo grado.

Il resto, fra tre settimane, sarà la cronaca di un’udienza che potrebbe essere già decisiva. Una volta formalizzate le richiesta del pg, la parola passerà ai legali di Ciccio Napoli, poi teoricamente la Corte, presieduta da Antonino Marcello Fallone, si ritirerà in camera di consiglio e ne uscirà con il verdetto. Ma bisognerà prima passare al setaccio le altre posizioni.

La sentenza attesa per luglio

La sentenza riguarderà tutti e 22. Il processo Sangue blu, si ricorda, ha segnato una tappa importante nel contrasto alle attività mafiose di uno dei più potenti e pericolosi clan dell’intera mafia siciliana. I Santapaola, egemoni su tutta la fascia centro-orientale dell’Isola, siedono da sempre al “tavolo dei grandi” di Cosa Nostra. E anche se nell’ultimo periodo hanno un po’ perso il controllo del territorio nella ‘loro’ Catania, tra l’ascesa del clan Cappello e l’affermazioni di gruppetti alternativi, rimangono tra le organizzazioni più potenti nell’Isola.

Napoli è stato definito uomo d’onore “riservato”, per via di quella scelta protettiva voluta per lui dai capi. In pratica lui, reggente del clan, era conosciuto da pochissimi in questa veste. La riservatezza non è bastata a evitargli di incorrere nella scure della giustizia. Napoli viene ritenuto anche appartenente a una sorta di ristretto ambito pseudo-aristocratico, dati i suoi legami familiari con parenti dei Santapaola.

Il processo di primo grado e le ‘ammissioni’

Al giudizio di primo grado, ha in qualche modo ammesso di aver accettato di fare il capo, a un certo punto, perchè non era riuscito a sottrarsi a una nomina che sarebbe stata in qualche modo nel destino.

Quasi, come detto, che toccasse a lui per successione dinastica, dato che è nipote di Giuseppe Ferrera detto “u cavadduzzu”, in qualche modo imparentato, o affine, al super-boss Nitto Santapaola. Ma di fatto era anche l’unico ad avere evidentemente un carisma tale da poter ricoprire quel ruolo. Una nomina scomoda che, scrisse al gup di primo grado, avrebbe cercato di non accettare. Alla scorsa udienza, si era rinviato per la definizione dei concordati.


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