Palermo, mafia: non può essere curato in carcere, va ai domiciliari

Non può essere curato in carcere, detenuto per mafia va ai domiciliari

Il sistema carcerario inadeguato a fornire adeguate terapie

PALERMO – Non può essere curato in carcere e il diritto alla salute viene prima di ogni cosa. Anche di fronte ad un’accusa di mafia.

La quinta sezione del tribunale di Palermo ha concesso gli arresti domiciliari ad Emanuele Prestifilippo, 53 anni, arrestato nel maggio 2022. Il blitz era quello denominato “Stirpe” che avrebbe azzerato la famiglia mafiosa di Ciaculli-Croceverde Giardini.

Il collegio presieduto da Donatella Puleo, che sta processando Prestifilippo, ha accolto l’istanza degli avvocati Giovanni Castronovo e Carmelo Ferrara.

Prestifilippo al momento del suo arresto godeva di buona salute. Dopo essere finito in carcere ha iniziato ad avere problemi alla colonna vertebrale. “A causa della mancanza di adeguate cure, lo hanno costretto a vivere su una sedia a rotelle. Per questo motivo, non è più riuscito a svolgere le normali attività della vita quotidiana, se non grazie alla solidarietà e all’umanità di alcuni suoi compagni di cella”, sostengono i suoi avvocati.

Dopo essere stato trasferito in tre diversi istituti penitenziari e la conferma della patologia da parte dei periti la decisione di concedergli gli arresti domiciliari.

Questo il principio stabilito dai giudici: “L’inidoneità del sistema carcerario a fornire le adeguate cure e terapie, anche a un soggetto detenuto per reati di mafia, costituisce elemento significativo volto a vincere la presunzione assoluta di legge, consentendo allo stesso di poter beneficiare del regime attenuato degli arresti domiciliari”.


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