L'omicidio di Daniele Paratore |Chiesto l'ergastolo per Di Stefano - Live Sicilia

L’omicidio di Daniele Paratore |Chiesto l’ergastolo per Di Stefano

Lo spacciatore fu ucciso il 18 aprile 2009 in via Bainsizza, nel quaritere San Berillo Nuovo. Alla sbarra Francesco Di Stefano, accusato di essere uno dei killer. Per la difesa "i collaboratori di giustizia sono inattendibili e mancano i riscontri investigativi". (Nella foto, la scena del crimine)

CATANIA – Ergastolo e due anni di isolamento diurno. E’ pesantissima la richiesta di pena avanzata alla Corte d’Assise di Catania dal pm Pasquale Pacifico nei confronti di Francesco Di Stefano accusato di essere uno dei killer che la notte del 18 aprile 2009 ha crivellato di colpi Daniele Paratore in via Bainsizza. Il movente che avrebbe scatenato il livore dei vertici dei Cursoti Milanesi sarebbe il mancato rispetto di un accordo. Paratore avrebbe dovuto spartire gli introiti dello spaccio con il clan, dopo che Di Stefano lo aveva “sollevato” da un debito che avrebbe avuto con i Cappello di Giovanni Colombrita. Una ricostruzione quella degli inquirenti che prende spunto dalle dichiarazioni di Michele Musumeci, il collaboratore di giustizia che è stato già condannato per questo delitto.

Durante l’esame Pamela (questo il soprannome di Musumeci) ha ripercorso minuto per minuto la sua versione in merito all’agguato a Daniele Paratore. Lo spacciatore sarebbe stato impegnato a vendere una dose, Di Stefano avrebbe iniziato a sparare quasi subito. Inutile il tentativo di fuga del pusher a bordo del suo scooter, il boss dei Cursoti avrebbe esploso l’intero caricatore. Quando fu trovato morto dagli agenti della Squadra Mobile Paratore aveva ancora i soldi in mano e il telefono squillava.

Il cadavere fu trovato in un giardinetto, a poca distanza dalla casa del collaboratore di giustizia Vincenzo Pettinati. L’ex affiliato del clan Cappello ha raccontato nel corso del processo di un presunto incontro in cui lui si sarebbe lamentato del luogo scelto per il delitto e Ciccio Di Stefano avrebbe ammesso di essere stato lui a sparare.

Alle rivelazioni dei pentiti si uniscono una serie di attività investigative, anche di tipo tecnico e video, che “blindano” – secondo la Procura – la posizione dell’imputato. Sono soprattutto due filmati che immortalano Di Stefano alla “corte” di Colombrita prima dell’omicidio del pusher. Quei video secondo il pm sono le “prove” degli incontri tra i due boss per “discutere” del debito di Paratore.

“Collaboratori di giustizia inattendibili” – il difensore di Francesco Di Stefano, l’avvocato Salvatore Caruso nella sua arringa punta il dito sulle rivelazioni dei pentiti e sull’assenza di riscontri. Insomma, l’apparato probatorio portato dall’accusa sarebbe – secondo il legale – deficitario di “riscontri su quanto dichiarano i collaboranti”. Alla Corte d’Assise l’avvocato Caruso ha chiesto “l’assoluzione di Di Stefano per non aver commesso il fatto”.

Lo stesso imputato, boss dei Cursoti Milanesi ha ribadito nel corso del processo che “non c’entra nulla” con questo omicidio. Anzi, Di Stefano “si sente perseguitato dalla polizia da cinque anni”. Nessun rapporto con la vittima. Lo avrebbe incontrato una volta in carcere. Mentre i rapporti con Michele Musumeci, il collaboratore di giustizia che lo accusa, sarebbero stati di pura conoscenza, ma niente di più.

La Corte ha rinviato il processo al 12 ottobre per le eventuali repliche di accusa e difesa e la lettura della sentenza.


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