L’impianto accusatorio regge ma il processo è da rifare. Bisognerà ricalcolare le pene in virtù di due principi sanciti dalla Corte di Cassazione che ha annullato con rinvio la sentenza d’appello per cinque presunti affiliati alla famiglia mafiosa di corso Calatafimi, a Palermo. Si tratta di Angelo Monti (aveva avuto 13 anni e quattro mesi), Piero Guccione (12 anni e cinque mesi), Francesco Annatelli (14 anni e 4 mesi), Giuseppe Trinca (undici anni) e Salvatore Bonomolo (10 anni e 4 mesi). In particolare, i supremi giudici della sesta sezione hanno annullato la sentenza nella parte in cui veniva sostenuto che gli imputati avessero aperto delle attività economiche investendo soldi di provenienza illecita. Come dire: se si è mafiosi non è detto che mafiose siano pure le tue attività.
Il pronunciamento della Cassazione dovrebbe fare scattare uno sconto fino a due terzi della pena. Nel caso di Trinca, difeso dagli avvocati Giovanni Castronovo e Alfredo Gaito, all’imputato era stata applicata una pena più pesante come previsto da una legge entrata in vigore nel 2005. I difensori hanno, però, sostenuto che dal racconto di diversi collaboratori di giustizia è emerso che Trinca era stato estromesso dalla famiglia nel luglio 2003 perché accusato di avere fatto la cresta sulle estorsioni. Una decisione, questa della Cassazione, che potrebbe far venire meno il principio secondo cui si resta mafiosi per tutta la vita, nonostante si venga tagliati fuori dall’organizzazione criminale. A presentare il ricorso per conto degli imputati sono stati gli avvocati Nino e Michele Rubino, Michele Giovinco e Lorenzo Marchese.