Leonforte. Sputi a terra in mezzo alla strada, ma inequivocabilmente indirizzati verso un leonfortese che anni fa ha denunciato la mafia. Incisioni a forma di croce nella carrozzeria delle macchine. Frenate improvvise fingendo di investire un imprenditore in piazza Quattro Novembre. Danneggiamenti alla macchina di un poliziotto. Quei mesi a piede libero tra il 2017 e il 2018 rischiano di costare caro a Gaetano Cocuzza, uno dei fedelissimi del gruppo leonfortese dei Fiorenza, clan appartenente alla nuova mafia organizzata della provincia di Enna. In quei mesi, Cocuzza ha collezionato una sfilza di denunce per minacce e danneggiamenti aggravati dal metodo mafioso, prima di essere arrestato nuovamente e finire al centro dell’inchiesta antimafia “Caput Silente”.
Adesso il pregiudicato, che quattro mesi fa ha preso una pesantissima condanna in primo grado, oltre diciannove anni di reclusione, proprio al processo Caput Silente, sarà processato con rito abbreviato dinanzi al Gup di Caltanissetta il mese prossimo. Risponde di minacce e danneggiamento ai danni di un imprenditore, a cui avrebbe tracciato, graffiando la carrozzeria, tre croci nella macchina. L’accusa ovviamente è aggravata dall’aver agito nell’interesse della mafia.
Un altro imprenditore invece sarebbe stato preso di mira direttamente: Cocuzza avrebbe rallentato davanti casa sua e a quel punto, vedendolo che stava aprendo il cancello, avrebbe uscito la testa dal finestrino e sputato a terra nella sua direzione. A fine agosto 2017 si sarebbe accostato con la macchina e gli avrebbe detto: “Tu sei morto, tu sei morto”. Poi il 26 ottobre avrebbe finto di investirlo con la macchina scansandosi all’ultimo: un “gioco” pericoloso, quando a farlo sono dei ragazzi irresponsabili per divertirsi; una minaccia esplicita se l’autore è un uomo già condannato in via definitiva per tentata estorsione aggravata e che, da lì a breve, sarebbe finito in carcere per mafia. In un’altra circostanza, nel gennaio 2018, mentre si trovava a piedi davanti a un bar, vedendo passare la vittima (sempre lo stesso) per strada, si sarebbe rivolto a un altro presunto mafioso con cui stava parlando dicendo: “Sta salendo un infame”.
Infine l’imputato è accusato di aver danneggiato l’auto di un altro leonfortese, l’11 febbraio 2017, in via Torretta; e di aver “disegnato” un’altra croce nella carrozzeria della macchina di un poliziotto del Commissariato di Leonforte, la cui sezione di Polizia giudiziaria ha coordinato tutte le inchieste che hanno decapitato Cosa Nostra in paese, sotto il coordinamento della Dda di Caltanissetta, da decenni.
In aula al processo a carico di Cocuzza si sono costituiti parte civile alcuni imprenditori e l’associazione antiracket di Leonforte, presieduta da Gaetano Debole, uno dei giovani imprenditori che da tempo hanno scelto di stare dalla parte dello Stato e di puntare l’indice contro Cosa Nostra e contro gli appartenenti al clan capeggiato, fino al momento dell’operazione Homo Novus, dal piccolo imprenditore leonfortese Giovanni Fiorenza, che avrebbe portato con sé all’interno di questa cosca i suoi due figli Alex e Saimon.