In fuga vestito da Babbo Natale| I boss e le feste di Cosa nostra - Live Sicilia

In fuga vestito da Babbo Natale| I boss e le feste di Cosa nostra

Il pizzo, i capretti per i carcerati e le notti rocambolesche: i mafiosi non vanno in ferie.

PALERMO – Era il gennaio di due anni fa. Per intimidire l’imprenditore di Villabate scelsero dei fiori a tema. Davanti all’ingresso del cantiere i mafiosi lasciarono delle stelle di Natale. Il costruttore doveva continuare a pagare il pizzo, come “tradizione” vuole, alla famiglia di Bagheria.

I giorni di festa sono decisivi per Cosa nostra che non può permettersi di saltare le raccolte di Natale e Pasqua. Servono soldi, tanti soldi per pagare gli stipendi ai picciotti e aiutare le famiglie dei carcerati. Ecco perché, nonostante gli arresti, la macchina del racket non si ferma. Incendi e attak si registrano negli ultimi giorni a macchia di leopardo. A Borgo Nuovo come in viale Strasburgo, in via Mariano Stabile come in via Sciuti.“… per Natale non abbiamo raccolto… minchia… abbiamo acchiappato i belli soldi…”, diceva Gregorio Palazzotto dell’Arenella, di recente condannato a vent’anni di carcere, confermando il superlavoro nei giorni di festa.

Pizzo e non solo. Bisogna organizzare le trasferte per i colloqui dei parenti dei carcerati, ma anche per cenoni delle feste. Salvatore Lo Piparo, altro pentito bagherese, si dava un gran da fare e aveva trovato la disponibilità del titolare di un supermercato pronto a fornire “sacchetti con la spesa”. Salvatore Sollima, anche lui di Bagheria, ha raccontato che “il periodo di Natale il macello ha mandato 20 crapetti pi’ detenuti, per farici avere un crapiettu ogni famigghia, qualche crapiettu pi’ fariccilli trasiri ‘o carcere, fariccilli disossare e fariccilli trasere ‘o carcere”.

Il capretto – disossato e pronto per essere cucinato – doveva giungere in carcere per “confortare” i detenuti. Insieme agli auguri, però. Chi sta dentro ci tiene particolarmente. La distrazione viene considerata mancanza di rispetto. Giovanni Di Giacomo, killer ergastolano del mandamento palermitano di Porta Nuova, faceva notare al fratello Giuseppe, che sarebbe stato crivellato di colpi nel 2014, che Nunzio Milano, altro cognome storico della mafia palermitana, era stato l’unico a non scrivergli. Giuseppe gli spiegava che Milano si era fatto guardingo dopo che avevano sorpreso tre picciotti con la lista dei commercianti da mungere, naturalmente a Natale.

Persino la passione per il gioco che per le feste diventa contagiosa non sfugge alle regole di Cosa nostra. C’è chi organizza la tombola e chi programma le bische clandestine. “Si doveva preparare il tavolo per poter fare il gioco del baccarat durante il periodo di Natale – ha messo a verbale Sergio Flamia – quindi già ci stavamo organizzando un paio di mesi prima a far conoscere ai giocatori questo posto dove andare a giocare e tutto.. ed era una cosa in cui Pino Scaduto (capomafia di Bagheria, ndr) aveva incaricato a me e a Michele Modica, ma nel mese di luglio, ai primi di luglio hanno arrestato a Michele Modica, questa cosa è rimasta in sospeso, per un paio di mesi io ho pagato l’affitto di tasca senza avere nessun introito in questa cosa”.

Dai giochi d’azzardo alle luminarie. I carabinieri hanno scoperto che i mafiosi di Villabate e i palermitani di Porta Nuova si divisero due mila e 500 euro pagati da un imprenditore per la messa a posto. I primi perché l’azienda aveva sede nel territorio di loro competenza; i secondi, perché la principale strada da addobbare – via Libertà – ricade sotto la loro egida. Un lavoro da poco meno di cinquanta mila euro. L’imprenditore, convocato in caserma, confermò di avere ricevuto la visita di un uomo. Arrivò al volante di una Smart. Era “robusto e con la barbetta”. Scese dalla macchina e disse che “voleva un regalino”. I soldi erano per “gente di Villabate”.

Le recenti cronache giudiziarie hanno fatto conoscere un episodio avvenuto alla fine degli anni Ottanta. Per una notte persino un boss come Mariano Marchese, allora pezzo grosso della mafia di Santa Maria del Gesù e deceduto qualche mese fa, aprì una parentesi di normalità nel mondo alla rovescia di Cosa nostra. Era la notte di Natale e il boss, travestito da Babbo, dovette darsi alla fuga. Gli sbirri, che gli davano la caccia, erano andati a bussare alla porta di casa proprio mentre il mafioso distribuiva i doni. Era lui stesso a raccontarlo: “…. quando è stato che stavamo mangiando da mio fratello?… La sera di Natale… loro entrano dalla cucina…”. “… e lui esce dal portoncino del salone… che c’era la scala… – la moglie proseguiva il racconto – lui aveva fatto il Babbo Natale… perciò si era messo tutte cose nel sacco.”. La fuga di Marchese sarebbe durata ancora per pochi mesi.


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