Mafia, omicidi e pistole fumanti |Catania e gli anni della mattanza - Live Sicilia

Mafia, omicidi e pistole fumanti |Catania e gli anni della mattanza

Negli anni '90 la città era stata trasformata in una polveriera.

Dal Mensile S
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CATANIA – Un giro per la città. Storie di sangue ad ogni angolo. Catania si è trasformata in un girone dell’inferno. Non ci sono nomi di killer o mandanti. Nello speciale del Mensile S in edicola ci sono i nomi e cognomi dei morti ammazzati nella mattanza degli anni ‘90. Di omicidi di chiara matrice mafiosa (e non) che hanno scandito la storia criminale di questa città. In molte strade che ogni giorno attraversiamo a Catania è stato ucciso un uomo. Di giorno, di notte. Senza pietà. Senza una valida ragione. Perché non ci sono mai valide ragioni per decidere di togliere la vita ad un’altra persona. Si comincia dal 7 febbraio del 1989, si sono appena conclusi i festeggiamenti per Sant’Agata. A cadere sotto i colpi d’arma da fuoco nel rione San Leone è Nello Colombrita. Il cadavere rimane dentro la sua auto. Nello Colombrita all’epoca era considerato un personaggio di spicco dei Santapaola. Il fratello Giovanni, oggi è invece in galera perché accusato di essere un boss dei Cappello.

Il 10 marzo del 1989 l’area di servizio Monteshell sull’autostrada Palermo-Catania è la tomba per quattro persone ammazzate a pistolettate: Bernardo Bellaprima, Pietro Bellaprima, Sebastiano Calì e Carmelo Grasso. Gli investigatori li ritenevano vicini al capo mafia Pippo Ferrera “cavadduzzu”. Qualche mese prima Bernardo Bellaprima e Sebastiano Calì erano stati beccati davanti la stanza dell’Ospedale Tomaselli Ascoli dove il boss era ricoverato.

Aveva deciso di farsi la barba “Nino” Pace quel 3 maggio 1990. Qualcuno conosceva bene le abitudini del braccio destro del capomafia Turi Cappello. Quel giorno lo ammazzano proprio nella sala da barba di Canalicchio, ucciso come un boss nella Chicago degli anni ‘20.

Estate di fuoco quella del 1990: il 22 agosto un commando armato entra in azione in via Ferro Fabiani all’interno di una macelleria. Santo Laudani, figlio del patriarca dei “Mussi ‘i ficurinia“, viene ucciso insieme a Sergio Petralia. In quell’agguato rimane ferito Giovanni Coppola. Questa uccisone non è mai stata perdonata. Mai.

Gaetano Porzio è stato freddato il 17 gennaio 1991 accanto all’ospedale Santa Marta. Forse un regolamento di conti. Il giorno dopo, il 18 gennaio 1991, in via Poulet (al “passareddu”) viene ucciso Angelo Barbera, uno dei vertici assoluti dei Cursoti. La guerra intestina imperversava. Nella raffica di fuoco restano feriti anche Mario Angiolini e Gaetano Palici.

Il cimitero, già teatro di morte, è il luogo dove viene ammazzato Maurizio Colombrita, un uomo che nulla aveva a che vedere con la mafia. Il 28 gennaio 1991 era andato a portare un fiore alla tomba del fratello, quel Nello, boss dei Santapaola, ammazzato due anni prima a San Leone. Voci insistenti dicono che i killer avevano come bersaglio l’altro fratello, Giovanni, boss dei Cappello.

Il 1992 è un anno bisestile. Il 29 febbraio, in quel tesoro nascosto che è l’Antico Corso, viene ucciso Paolo Masci, uomo di “peso” dei Cursoti. Meno di un mese dopo, il 26 marzo 1992, in via Pietro Platania, la furia omicida si scatena contro Santo Romano ed Ernesto Sanfilippo. I due esponenti del clan Cappello vengono uccisi mentre sono in macchina.

Alfio Amato è stato ammazzato all’interno di un garage a Monte Po il 22 maggio 1992. Un omicidio raccontato con dovizia di particolari nel corso di un recente processo. Molte volte le aule di giustizia si trasformano in “macchine del tempo” e fanno rivivere dolori, rumori, faide di un tempo passato. E così si apprende che Alfio Amato è stato attirato in una trappola. Insultato, torturato e poi strangolato.

E’ il 26 giugno 1992, in via Fiume, a Picanello, a pochi passi dai nuovi grattacieli di vetro e dal tempio americano del fast food, viene ammazzato Rosario Piacente, boss di spessore dei “Ceusi” all’epoca legato al clan Cappello. Si narra che per commettere questo omicidio, Santo Mazzei, ‘u carcagnusu, sia arrivato in ritardo alla sua cerimonia di affiliazione a Cosa Nostra. Ad attenderlo i “corleonesi” Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e Antonino Gioè, arrivati direttamente da Palermo per battezzarlo “uomo d’onore”.

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