L'antimafia e le parti civili | "Mancano all'appello i boy scout" - Live Sicilia

L’antimafia e le parti civili | “Mancano all’appello i boy scout”

Fra ieri e oggi oltre cento richieste di costituzione di parte civile in due processi per mafia, a Palermo. Accanto alle parti offese, come le vittime del pizzo, proliferano enti e associazioni. E cresce il malcontento fra le vecchie organizzazioni antiracket e gli avvocati degli imputati.

PALERMO – “Signor giudice, non ci resta che aspettare la costituzione dei boy scout”. La battuta (mica tanto) dell’avvocato Giuseppe La Barbera, pronunciata davanti al giudice in un’affollatissima aula, centra il cuore della questione. E cioè il proliferare delle partici civili nei processi di mafia. Era accaduto ieri nel dibattimento Apocalisse (riguarda i clan mafiosi di Tommaso Natale, Resuttana, Partanna Mondello, San Lorenzo, Acquasanta, Pallavicino e Zen) e si è ripetuto oggi in quello denominato Reset contro le cosche della provincia: Bagheria, Villabate, Ficarazzi e Altavilla Milicia.

È arrivata una valanga di richieste di costituzione di parte civile: più di cento. Per la stragrande maggioranza si tratta di associazioni, enti e Comuni che, ogni volta sempre di più, affollano le aule di giustizia. Ritengono di essere stati “danneggiati” dai reati che sono stati commessi e chiedono di partecipare ai dibattimenti accanto o assieme alle parti offese. Parti offese, giusto per chiarire, sono i commercianti vittime di estorsione che hanno trovato la forza di denunciare. A proposito di estorsioni è stata l’associazione Addiopizzo, presenza costante nei Tribunali dall’anno della sua costituzione, il 2004, ad accendere le polveri. A scagliarsi contro il proliferare “di carovane di associazioni e organizzazioni che sgomitano e scalpitano per costituirsi parte civile nei processi di mafia ed estorsioni”.

Il senso della questione lo ha riassunto un altro legale che difende un imputato di mafia, l’avvocato Jimmy D’Azzò: “Esprimiamo solidarietà alle parti offese, se ritengono di avere subito un danno è giusto che si costituiscano, ma bisogna mettere un freno. Ci sono associazioni che davvero svolgono un ruolo nel territorio, ormai riconosciuto e storicizzato, ma ce ne sono altre che hanno un mero ruolo di facciata. Si presentano in aula senza nemmeno conoscere il processo”.

Accanto a realtà note come Addiopizzo, Libero Futuro, Fai, Ance, Confindustria, Centro Pio La Torre, Confesercenti, Confcommercio, Confindustria, nei due processi di ieri e oggi hanno chiesto di costituirsi parte civile, tra gli altri, il sindacato di polizia Mp, l’”Associazione antimafia Antonino Caponnetto”, “Obiettivo legalità”, Codici, “Forum delle associazione antiusura”, “Associazione Paolo Borsellino” ed altre ancora. Per carità, saranno i giudici per le udienze preliminari Sergio Ziino e Roberto Riggio a stabilire chi merita di stare nel processo, ma la considerazione della classe forense non può passare in secondo piano: “È impensabile che un imputato, magari chiamato a rispondere di un singolo reato – ha aggiunto D’Azzò – debba risarcire cinquanta parti civili”.

Entrando nel merito giuridico, per diventare attori del processo come parti civili bisogna rispondere a precisi requisiti che dovrebbero impedire la violazione del principio di parità fra le parti. Non è roba da poco visto che diventare parte civile significa entrare in contraddittorio con il giudice, il pubblico ministero e il difensore dell’imputato, significa portare prove e citare testimoni, nominare consulenti tecnici, chiedere il sequestro conservativo dei beni e, in ultima istanza, impugnare le sentenze. Insomma, un ruolo delicato che va, o almeno dovrebbe andare, ben oltre la possibilità di chiedere il risarcimento del danno. Ed invece troppo spesso si assiste al sacrificio del ruolo di attore del processo sull’altare dei soldi da incassare, siano essi per i danni o per le spese legali, attingendo al fondo per le vittime di mafia. Perché, sia chiaro, quasi mai sono gli imputati condannati a pagare il conto.

Torniamo ai requisiti. Due su tutti, almeno quando si parla di enti o associazioni. Primo: l’ente collettivo deve essere riconosciuto dalla legge e deve essere stato costituito prima della commissione del reato. Secondo: l’ente deve avere come finalità la tutela dell’interesse (collettivo o diffuso) leso dal reato e non scopo di lucro. Requisiti scontati? No, visto le improbabili richieste che a volte giungono ai giudici. In principio fu, nel 1994, l’Associazione commercianti e imprenditori di Capo d’Orlando (A.C.I.O.), a chiedere o ottenere per prima la costituzione di parte civile contro alcuni mafiosi di Tortorici. Poi, è diventato un fenomeno in espansione fino alle valanghe di costituzioni dei giorni nostri.

Di recente, a dire il vero, i giudici sono diventati più critici e selettivi. Insomma per un Comune dove regnano i clan è facile dimostrare di avere subito un danno di immagine, oppure che la presenza mafiosa abbia mortificato lo sviluppo delle attività produttive o del turismo. Impresa ardua se sei un’associazione che si è limitata ad organizzare un convegno sul tema della legalità. Impresa ardua, ma non impossibile. E i no, a volte pronunciati dai giudici, non costituiscono un deterrente. Si va in aula e si alza la mano.

 


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