I cento segreti del pentito | Zarcone parla e la mafia trema - Live Sicilia

I cento segreti del pentito | Zarcone parla e la mafia trema

Antonino Zarcone

Al processo d'appello che vede alla sbarra il presunto clan di San Lorenzo il neo collaboratore di giustizia del clan di Bagheria chiude la deposizione parlando di “cento fatti delittuosi su cui la Procura non sapeva niente prima”.

PALERMO – Poche parole. Sufficienti, però, per fare capire che c’è grande fermento investigativo in Procura.  Antonino Zarcone le pronuncia a fine udienza. Dopo avere stoppato decine di domande: “Su questo non posso aggiungere altro, ci sono indagini in corso”.

Al processo d’appello che vede alla sbarra il presunto clan di San Lorenzo il neo collaboratore di giustizia chiude la deposizione parlando di “cento casi. Ci sono cento fatti delittuosi su cui la Procura non sapeva niente prima”. A segnare la linea di demarcazione fra il “prima” e il dopo è proprio la scelta di Zarcone di voltare le spalle ai boss di Bagheria per diventare un collaboratore di giustizia.

Ha ammesso di avere avuto “un ruolo direttivo nel mandamento di Bagheria nel 2011”, aggiungendo che “la co-reggenza fra me, Messicati Vitale Antonio e Di Salvo Giacinto consisteva in una divisione di ruoli”. Il suo era particolarmente delicato: “Io ero incaricato dei rapporti con i palermitani, Messicati Vitale si occupava dei contatti con i mandamenti fuori Palermo (Misilmeri etc) e Di Salvo delle estorsioni e dei lavori all’interno della famiglia di Bagheria. Il vero capo, però, era Nicola Greco che si relazionava con Di Salvo Giacinto”.

In virtù dei suoi rapporti con i palermitani Zarcone è stato citato anche al processo d’appello al clan di San Lorenzo. In primo grado arrivò una raffica di condanne. A cominciare da quella inflitta al presunto reggente. Quel Giulio Caporrimo – condannato a dieci anni – che aveva raggiunto un livello tale di autorevolezza per convocare la più importante riunione della Cosa nostra palermitana degli ultimi anni a Villa Pensabene. Caporrimo era uscito dal carcere nell’aprire 2010 dopo avere scontato una lunga condanna per mafia. Un istante dopo sarebbe diventato il nuovo capo della cosca di San Lorenzo. E così si sarebbe intestato la ristrutturazione dell’intera Cosa nostra palermitana. Nel febbraio 2011 avrebbe organizzato il grande vertice nel noto ristorante-maneggio alle spalle del velodromo. Il 7 febbraio 2011 vi parteciparono, tra gli altri, oltre a Caporrimo, Giovanni Bosco, Giuseppe Calascibetta (che sarebbe stato poi ammazzato), Salvatore Seidita, Alfonso Gambino, Gaetano Maranzano, Amedeo Romeo, Stefano Scalici, Cesare Lupo, Nino Sacco e Giuseppe Arduino.

Ed è lo stesso Zarcone, collegato in video conferenza davanti alla Corte d’appello, a cucire addosso a Caporrimo un ruolo di primo piano. Ad esempio raccontando di un secondo incontro, quello del 7 giugno del 2011 al ristorante “Ma che Bontà” di via Emilia, a Palermo. C’erano, oltre allo stesso Zarcone e Caporrimo, Tommaso Di Giovanni e Nicola Milano di Porta Nuova, Antonino Messicati Vitale di Villabate, Cesare Lupo di Brancaccio, Luigi Giardina, cognato di Gianni Nicchi, Fabio Chiovaro della Noce e Gaetano Maranzano, reggente della famiglia di Cruillas.

Un episodio di cui Zarcone aveva già parlato, ma che ora ribadisce in aula. Per una volta, però, le cose più importanti sono quelle non dette. Perché Zarcone, oltre a citare i “cento episodi delituosi”, fa riferimento ad una serie di personaggi misteriosi di cui non dice le generalità. Non perché non le conosca, ma soltanto per ragioni investigative. I nomi, infatti, li ha già fatti ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia. Di più non può aggiungere se non ribadire che la sua scelta di collaborare sia spontanea e disinteressata: “Io ho solo un processo per mafia e due estorsioni. Io ha fatto questa scelta perché voglio cambiare vita”.

 


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