"La gente puzzava di fame"| Pizzo e silenzi: 22 condanne - Live Sicilia

“La gente puzzava di fame”| Pizzo e silenzi: 22 condanne

L'arresto di Giuseppe Lo Porto alla squadra mobile di Palermo

Pietro Tagliavia guidava il mandamento di Brancaccio dagli arresti domiciliari. Una sola denuncia

PALERMO – Era il 2017. A guidare la famiglia di corso dei Mille e a dettare legge a Brancaccio, così emerse dal blitz della Squadra mobile e dei finanzieri del Gico del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Palermo, sarebbe stato Pietro Tagliava. Comandava un piccolo esercito mentre si trovava detenuto agli arresti domiciliari.

Il figlio di Francesco Tagliavia, condannato all’ergastolo per le stragi di via d’Amelio a Palermo e via de’ Georgofili a Firenze, è uno dei condannati dal giudice per l’udienza preliminare Fabio Pilato. Ha avuto 14 anni, già scontati di un terzo così come previsto dal rito abbreviato. Accolta la ricostruzione dei pubblici ministeri Francesca Mazzocco e Andrea Fusco.

Queste le altre condanne: Francesco Paolo Clemente 12 anni (incaricato di gestire una serie di imprese, soprattutto nel settore degli imballaggi), Giuseppe Ficarra e Giovanni Vinci 10 anni, Giuseppe Di Fatta, Santo Carlo Di Giuseppe e Giacomo Teresi 12 anni ciascuno, Antonino Marino 10 anni, Roberto Mangano 8 anni, Giovanni Pilo 6 anni, Giuseppe Lo Porto 8 anni, Pietro D’Amico 5 anni; Massimo Alteri, Giuseppe Frangiamore, Salvatore Graziano, Gaetano Lo Coco, Francesco Paolo Mandalà e Orlando 2 anni e 8 mesi ciascuno, Elio Petrone 2 anni, Roberto Mangano e Maurizio Puleo 4 anni, Stefano Tomaselli 3 anni e 4 mesi. L’unico assolto è Salvatore Montalto. Altri imputati sono sotto processo con il rito ordinario davanti al Tribunale.

“Qua le state facendo puzzare di fame le persone”, diceva un imprenditore nella morsa del racket. Da corso dei Mille a via Buonriposo, da via Messina Marine a via Giafar. E ancora via Ferrari Orsi, viale dei Picciotti, piazza Ponte dell’Ammiraglio. Non c’era strada, nell’area compresa tra Brancaccio e Roccella, che la cosca guidata da Pietro Tagliavia non passasse al setaccio per incassare la messa a posto. I soldi servivano per le famiglie dei carcerati

Ventitré i commercianti costretti a pagare e una sola parte civile al processo, assistita dagli avvocati Ugo Forello e Valerio D’Antoni. Parte civile anche Addiopizzo, Federazione antiracket, Confesercenti e Confcommercio (avvocato Fabio Lafranca), Confartigianato (avvocato Marcello Montalbano), Centro Pio La Torre (avvocati Ettore Barcellona e Francesco Cutraro)   

Le casse del clan venivano rimpinguate con lo spaccio di droga. Ma c’era anche un livello economico superiore, grazie agli investimenti schermati da una rete di prestanome. Alcuni dei condannati di oggi pochi giorni fa sono stati raggiunti da una nuova ordinanza di custodia cautelare nel corso di un blitz della finanza di Prato.


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