Mafia, pizzo e bastonate | Tre condanne a Brancaccio - Live Sicilia

Mafia, pizzo e bastonate | Tre condanne a Brancaccio

I fratelli Natale e Giuseppe Bruno

Nel 2014 la polizia scoprì che l'officina dei fratelli Natale e Giuseppe Bruno era la base operativa degli "eredi" dei fratelli Graviano pronti a usare la violenza contro chi non rispettava le regole di Cosa nostra.

Palermo - la sentenza
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PALERMO – Sedici e quindici anni di carcere per i fratelli Natale e Giuseppe Bruno. Otto anni e 4 mesi per Maurizio Costa. Arriva a sentenza la prima parte del processo nato dall’operazione Zefir della polizia contro il clan di Brancaccio. Regge al vaglio del giudice Fabrizio La Cascia la ricostruzione dei pubblici ministeri Francesca Mazzocco e Sergio Demontis.

Natale Bruno, nel novembre 2014, venne indicato come l’uomo che aveva preso il bastone del comando a Brancaccio dopo gli arresti di Giuseppe Arduino, Cesare Lupo e Nino Sacco. Le intercettazioni del blitz svelarono storie di sopraffazione, paura, ma anche connivenza. Nella nuova mappa del racket erano finiti parecchi commercianti. Una ventina in tutto. Nessuno di loro ha denunciato.

C’era un gran viavai nel magazzino di via Gaetano Di Pasquale, sede degli incontri fra i fratelli Bruno e Maurizio Costa. Non volevano sentire ragioni, gli imprenditori dovevano pagare: “Faglieli uscire, domani ci puoi andare, e gli puoi dire che c’è urgenza”.

Pizzo e non solo. L’inchiesta fece emergere che nel 2012 e 2013 erano partite due spedizioni punitive, armi in pugno.Solo l’intervento degli uomini della Squadra mobile evitò che venissero portate a termine.

Il primo obiettivo era un pregiudicato che aveva osato picchiare Giuseppe per una questione di donne. La vittima designata riuscì a farla franca. Scattò la perquisizione nel magazzino di Natale Bruno dove furono trovati un silenziatore per pistola calibro 22, numerose munizioni di 38 special e 357 Magnum, un paio di manette e 8 mila euro in contanti.

La punizione era pronta pure per il rapinatore che, nell’ottobre 2012, aveva preso di mira un imprenditore. Si trattava del titolare di un ingrosso di frutti di mare. Il padre di quest’ultimo si era rivolto al clan di Brancaccio per recuperare il denaro che era stato rubato al figlio nel corso di una rapina violenta: “Io ho visto che c’erano picciotto e mi sono sdirrubbato dalle scale e il tempo che sono arrivato a pianterreno il picciriddo che gridava. Sono andato a trovare il picciriddo che piangeva… a terra, hai capito?… e gli hanno scippato i soldi…”.

Iniziò la caccia agli autori del colpo. Il padre dell’imprenditore era convinto di avere saputo nome e indirizzo di uno dei malviventi: “L’hai capito? È questo, è Bagheria. Questo si ritira stasera alle otto meno venti… lo mettiamo nella macchina…”. “Vai a prendere la macchina che siamo con te”, diceva Bruno. In realtà le “indagini” produssero esiti diversi. Così lo raccontava Bruno: “Sto venendo da Bagheria ora. Non è che… in questo momento sono arrivato… non abbiamo niente da fare, capito? Ma fuori mano fuori mano fuori mano. Quelli… quei quattro che fanno questi lavori non c’entrano niente con la discussione che ha avuto lui”.


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