Mafia della provincia, 37 imputati | Chieste pene pesantissime - Live Sicilia

Mafia della provincia, 37 imputati | Chieste pene pesantissime

Un frame delle intercettazioni

Rischiano la stangata i presunti componenti dei clan operativi fra San Giuseppe Jato e Monreale.

PALERMO - IL PROCESSO
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4 min di lettura

PALERMO – Se dovessero essere accolte le richieste della Procura sarà stangata al processo contro i clan di una grossa fetta della provincia di Palermo, compresa fra San Giuseppe Jato e Monreale.

La Procura ha chiesto pene pesantissime dopo avere ricostruito una stagione di violenza e lotta per il potere. I mafiosi di Monreale sfidarono quelli di San Giuseppe Jato, dove da sempre ha sede il mandamento, e la reazione fu veemente. Dalle minacce accompagnate dalle teste di capretto si arrivò ai pestaggi.

Furono i carabinieri del Gruppo Monreale fra marzo e ottobre del 2015, coordinati dai pm Siro De Flammineis, Francesco Del Bene e Amelia Luise, ad azzerare i clan. Gli arresti dell’operazione “Nuovo mandamento” del 2013 avevano creato un vuoto di potere. E si sfidarono due fazioni: quella guidata dall’anziano Gregorio Agrigento, affiancato da Ignazio Bruno, e quella che faceva capo a Giovanni Di Lorenzo, soprannominato la morte, che intendeva garantire gli interessi dei vecchi capi. A cominciare da Salvatore Mulè, storico capomafia che sta scontando diciannove anni di carcere al 41 bis. Alla fine fu trovata l’intesa e la guerra evitata.

Nel frattempo, però, si decise di punire alcuni personaggi della famiglia di Monreale. L’insospettabile fisioterapista Giovan Battista Ciulla veniva accusato di avere rubato i soldi della cassa del mandamento e di avere violato il codice etico, intrattenendo una relazione con la moglie di un detenuto. E così il 25 febbraio del 2015 fu convocato un vertice in località Cozzo Pezzingoli, nella frazione di Poggio San Francesco, territorio di Monreale. C’erano Girolamo Spina, Vincenzo Simonetti e Ignazio Bruno per il mandamento di San Giuseppe Jato, Salvatore Lupo e Francesco Balsano per Monreale. Ed è proprio su Balsano, nipote del boss Giuseppe Balsano morto suicida in carcere, che sarebbe caduta la scelta per sostituire Ciulla. Il fisioterapista fiutò il pericolo e si diede alla fuga in un paesino in provincia di Udine.

Della compagine di Ciulla l’unico a meritare rispetto era Antonino Alamia. Gli altri andavano messi da parte. A cominciare da Benedetto Isidoro Buongusto che, tornato in libertà nel 2014 dopo avere scontato otto anni per mafia, si era avvicinato a Ciulla. Da qui una lunga scia di terrore. Il 28 febbraio 2015 fu proprio Buongusto ad essere preso di mira. Prima gli fecero trovare davanti alla porta di casa una testa di capretto con una pallottola conficcata in testa e un biglietto: “Da questo momento non uscire più di dentro perché non sei autorizzato a niente”.

La sera del 3 sempre Lupo e Balsano alzarono il tiro. Avevano chiesto aiuto a Sergio Denaro Di Liberto, un picchiatore messo a disposizione dalla cosca di San Giuseppe Jato. “Un messaggio mandagli e fai scendere a loro e capuliamo qua sopra”, scriveva Balsano. Iniziò una caccia all’uomo per le strade del paese: “Dove minchia sei… figlio di puttana… la mafia ora la facevano loro”, diceva Salvatore Lupo riferendosi alle mire di potere di Ciulla. Buongusto fu rintracciato e bastonato con una spranga di ferro in via Pietro Novelli. “… tutto si è rotto… le bacchettate nei piedi gli davo… i piedi gli ho rotto”, diceva Di Liberto.

Il 6 marzo toccò a Onofrio Buzzetta, braccio destro di Ciulla, finire nel mirino. Balsano si avvicinò a lui mentre era in macchina: “Porta tutti i soldi che ti sei preso nei lavori”. Buzzetta: “Io sono pulito, ti giuro”. E Balsano mise le cose in chiaro: “Sono autorizzato ad ammazzarti pure ora…”. E mentre parlava “gli ho puntato la pistola in bocca a Nofrio” . Buzzetta cercò aiuto nei mafiosi di Corleone. Trovò protezione in Rosario Lo Bue, allora in libertà ma poi arrestato con l’accusa di essere il capomandamento nel paese di Riina e Provenzano.

Ciulla e Buongusto si defilarono. All’inizio del 2016 le microspie captarono il loro ritorno alle armi. Volevano spodestare Salvatore Lupo a cui Giovanni Pupella, incaricato di gestire lo spaccio di droga a Monreale, consigliava di partire all’attacco: “Totò loro devono buscarle, Totò, e basta… a loro non dobbiamo fare capire nulla… loro devono rimanere a piedi”.

Tra un conflitto e un altro i clan del mandamento di San Giuseppe Jato erano impegnati a riscuotere il pizzo. Pochissime le ammissioni dei commercianti taglieggiati. Le estorsioni, però, non potevano bastare da sole a finanziare i boss e così, come sottolineò il comandante provinciale dei carabinieri Antonio Di Stasio, investivano nelle piantagioni di marijuana

Ecco l’elenco delle richieste di pena: Gregorio Agrigento (14 anni), Antonino Alamia (16 anni), Ignazio Bruno (18 anni), Onofrio Buzzetta (12 anni e 8 mesi), Pietro Canestro (4 anni), Giovan Battista Ciulla (14 anni), Giuseppe D’Anna (16 anni), Sergio Denaro Di Liberto (12 anni), Giovanni Di Lorenzo (16 anni), Vincenzo Ferrara (4 anni), Antonino Giorlando (13 anni e 4 mesi), Umberto La Barbera (4 anni), Giovan Battista Licari (8 anni), Tommaso Licari (10 anni), Domenico Lo Biondo (6 anni), Nicola Rinicella (8 anni e 8 mesi), Giuseppe Riolo (8 anni), Girolamo Spina (9 anni e 4 mesi), Giuseppe Buscemi Tartarone (9 anni e 4 mesi), Pietro Mulè (4 anni), Andrea Marfia (8 anni), Giovanni Battista Inchiappa (8 anni), Salvatore Terrasi (8 anni), Andrea Di Matteo (10 anni), Giuseppe Serbino (10 anni), Ettore Raccuglia (2 anni), Sebastiano Andrea Marchese (3 anni e 4 mesi), Domenico Lupo (8 anni), Salvatore Lupo (12 anni), Giovanni Pupella (10 anni), Antonino Serio (8 anni e 8 mesi), Piero Lo Presti (8 anni), Alberto Bruscia (10 anni), Francesco Balsano (14 anni), Salvatore Billetta (10 anni), Carlo Montalbano (un anno e 4 mesi).


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