Mafia, sequestro da un milione | Guzzo e la visita di Messina Denaro - Live Sicilia

Mafia, sequestro da un milione | Guzzo e la visita di Messina Denaro

C’è anche un oleificio tra i beni sequestrati, per un valore complessivo di un milione e 100 mila euro, dalla Direzione investigativa antimafia, a due imprenditori entrambi detenuti per mafia. Le proprietà sono riconducibili a Gino Guzzo, 52 anni, di Montevago (Ag), e Francesco Fontana, 74 anni, di Partanna (Tp), arrestati nell’operazione chiamata ‘Scacco Matto’, condotta nelle province di Trapani e Agrigento. I due sono stati condannati in primo grado, rispettivamente, a 21 anni e a 12 anni di reclusione, per associazione per delinquere di stampo mafioso. I provvedimenti di sequestro dei beni sono stati emessi dal Tribunale di Agrigento, su proposta della Dda di Palermo. Sigilli apposti anche ad un edificio e a terreni, conti correnti bancari e libretti di deposito.

Chi è Gino Guzzo
Era tutto pronto per accogliere un ospite d’eccezione. Matteo Messina Denaro, nell’agosto del 2008, sarebbe “venuto” in Sicilia. Un verbo che il pentito Calogero Rizzuto non utilizza a caso. Il latitante doveva arrivare da una regione del Centro Nord Italia. Destinazione Castelvetrano. Cosa c’era di tanto importante all’ordine del giorno? L’ultimo dei grandi padrini latitanti voleva mettere le mani sulla provincia di Agrigento. Sulla fetta di Territorio compreso fra Sambuca di Sicilia, Montevago e Santa Margherita Belice. Zone di confine con il Trapanese dove si concentrano forti interessi economici. Per il summit era stata scelta l’officina Alfa Romeo di Leonardo Ippolito. Cosa sia accaduto dopo resta un mistero. Il racconto del pentito, però, è chiaro e circostanziato. Per la penetrazione nell’Agrigentino, Messina Denaro si sarebbe servito di Gino Guzzo e Salvatore Grigoli. Il primo, arrestato nel 2008 nell’operazione ‘Scacco Matto’, è considerato il capomafia di Montevago e reggente della famiglia del Belice. Il secondo, titolare del marchio Despar nella Sicilia occidentale, sarebbe il braccio economico del superlatitante. Il progetto di espansione in realtà era iniziato due anni prima.

“Quando è stato arrestato Bernardo Provenzano – mette a verbale Rizzuto – abbiamo contattato Messina Denaro per sistemare le cose ad Agrigento”. E di problemi da risolvere ce n’erano parecchi. A cominciare dal braccio di ferro sulle forniture di calcestruzzo.  “Domani mattina piglia e ci spara a ‘sto cazzo di Fontana”, diceva Gino Guzzo, il 4 ottobre 2006, non nascondendo che il suo obiettivo era Francesco Fontana, di Partanna, anche lui coinvolto nell’operazione Scacco Matto, e ritenuto dagli inquirenti uomo di fiducia dei fratelli Rosario e Vitino Cascio. I Cascio, forti dell’appoggio del boss di Castelvetrano, non gradivano di essere messi fuori dal mercato del calcestruzzo, in un’area dove fino a quel momento avevano fatto la voce grossa. Ma i belicini sponsorizzavano i fratelli Filippo e Giovanni Campo di Menfi. I verbali di Rizzuto, pieni di omissis,   confermavano le dichiarazioni di un altro pentito, l’agrigentino Maurizio Di Gati. Anche lui era stato preciso: “Matteo Messina Denaro è una grossa figura dentro Cosa nostra sia in ambito agrigentino, che di Trapani, di Palermo, in tutta la Sicilia. Una figura grossa ai livelli di Totò Riina o di Binu Provenzano”. Un pezzo da Novanta che ha trovato terreno fertile nell’Agrigentino, ormai privo della guida del capomafia Giuseppe Falsone. Scovato e arrestato in terra francese.

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