Cosa nostra e il vecchio che avanza | Chi vende polli e chi fa soldi a palate - Live Sicilia

Cosa nostra e il vecchio che avanza | Chi vende polli e chi fa soldi a palate

Foto d'archivio

Che cosa è oggi la mafia? Si certifica la fine della stagione corleonese e ci si chiede dove siano finiti i patrimoni dei clan storici. È seguendo la scia dei soldi che troveremo i volti dei nuovi boss. Fanno affari, mentre lasciano ad altri il compito di affrontare le miserie di ogni giorno.

PALERMO – La mafia, nella sanguinaria versione corleonese che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni, è stata battuta. Lo dice, in estrema sintesi, un autorevole storico come Salvatore Lupo. Ci restano tante ferite, alcune forse incurabili. E ci resta il dubbio che i patrimoni accumulati nel passato siano stati ormai ripuliti del tutto.

Già, i patrimoni. Sono i soldi e gli affari a disorientare. C’è la mafia dei polli e quella dei grandi appalti. Mentre a Palermo la cronaca ci consegna con sempre maggiore frequenza le immagini della questua di Cosa nostra, a Catania verrebbe fuori la capacità dell’organizzazione criminale di condizionare l’attività di un colosso dell’edilizia. Bisogna chiedersi, a questo punto, con quale mafia si confrontano oggi magistrati e investigatori. La verità è che forse, al di là dell’apparente contrasto, le vicende palermitane e catanesi offrono un’unica chiave di lettura.

Di certo ci obbligano ad ammettere che il rapporto mafia-economia è cambiato rispetto al passato, complici la mancanza di grandi commesse pubbliche e la crisi economica. Ecco perché a Palermo i nuovi boss, il cui livello criminale – così dicono gli stessi investigatori – si è abbassato, sono impegnati a dirimere questioni di secondo piano. Questo non significa che non siano pericolosi. Anzi, paradossalmente rischiano di creare maggiore allarme sociale perché incidono nella vita quotidiana. Lo fanno con il pizzo che viene imposto a tappeto. Si accontentato anche di poche centinaia di euro e, vista la penuria di cantieri, si devono accontentare di mettere a posto il piccolo costruttore che sta rifacendo la facciata di un palazzo. E non solo: può capitare, e capita spesso, che il mammasantissima di turno si presenti per chiedere conto e ragione sia stata parcheggiata una macchina.

Ora che la mafia è tornata a trafficare droga – anche se siamo anni luce lontani dalla Pizza Connection – le tensioni aumentano e ci può pure scappare il morto. Anche i recenti omicidi, però, sembrano rispondere a logiche di faide per il potere interne alle singole famiglie. Tra un’estorsione e un’altra i boss placano liti di quartiere: dalla vendita dei polli allo spiedo al via libera per piazzare le bancarelle abusive di frutta e verdura. È una mafia che arranca. Le microspie registrano pure le lamentele dei familiari dei detenuti. “Ancora niente…”, diceva Teresa Marino, moglie del boss di Porta Nuova, Tommaso Lo Presti, a cui tardava ad arrivare la “mesata”. Anche la catena di solidarietà, vera forza dei clan, rischia di spezzarsi.

In un simile contesto, però, a Catania finisce sotto sequestro un colosso delle costruzioni come Tecnis. Imprenditori del calibro di Domenico Costanzo e Concetto Bosco Lo Giudice vengono descritti come inizialmente intimiditi dalla mafia e poi in combutta con i boss, capaci di condizionare gli appalti dell’anello ferroviario di Palermo e della metropolitana di Catania. Come dire, non ci sono le grandi opere pubbliche degli anni in cui i boss organizzarono il patto del tavolino per non lasciarsene sfuggire neppure uno, ma quando si presenta l’occasione i boss sono pronti a intervenire. Riescono a condizionare la burocrazia più che la politica. 

A pensarci bene, però, qualora le ipotesi investigative saranno riscontrate, sembrano gli ultimi strascichi di una vecchia mafia. Le indagini ci dicono che i lavori a Palermo, ad esempio, facevano gola a Salvatore Lo Piccolo, capomafia di San Lorenzo in carcere dal 2007. Anche il superlatitante Matteo Messina Denaro era interessato, ce lo conferma un pizzino, al “discorso di Punta Raisi”, riferendosi a una serie di lavori in aeroporto. Anche il pizzino, però, fu trovato addosso a Lo Piccolo nel 2007, quando lo arrestarono a Giardinello.

Il nocciolo della questione è che nel passaggio dai vecchi padrini a quelli nuovi potremmo esserci perso qualche pezzo importante. Il caso dell’avvocato Marcello Marcatajo, stimato professionista al soldo dei clan Graziano-Madonia-Galatolo per riciclare il denaro sporco, fa suonare l’allarme. I piccioli delle storiche famiglie mafiose sono ancora in circolazione e il guaio è che forse non riusciremo più a scovarli. Perché a distanza di decenni i piccioli non puzzano più di mafia e malaffare, ma sono stati investiti in attività lecite, servendosi di prestanome insospettabili. Compravendita di immobili, aperture di negozi, acquisito di licenze, persino sofisticati strumenti finanziari come i trust: la mafia ricicla soldi e nessuno vede. Persino i professionisti – notai, avvocati, commercialisti – sono spesso distratti, non notano alcunché di strano, nonostante siano obbligati a segnalare le operazioni sospette. E allora ci si chiede quanti Marcatajo si aggirino fra di noi.

E si torna alla domanda iniziale: con quale mafia ci si deve oggi confrontare? Forse l’immagine più fedele è quella di una Cosa nostra strutturata a più livelli. Nel primo, partendo dal basso, trovano spazio i capi delle singole famiglie che devono affrontare la gestione della quotidianità fatta, per lo più, di pizzo e spaccio di droga. Di questa mafia abbiamo una fotografia aggiornatissima grazie ai pentiti. Sono collaboratori che, però, sanno poco o niente degli omicidi. Hanno subodorato le frizioni esplose nella violenza, ma nulla sanno su chi e perché abbia ammazzato Peppuccio Calascibetta a Santa Maria del Gesù (a pochi passi dal luogo dell’agguato di ieri), Giuseppe Di Giacomo alla Zisa e Francesco Nangano a Brancaccio. Evidentemente sono state decisione prese ad un livello più alto a cui non hanno accesso. Eliminazione chirurgiche che non hanno scatenato alcuna vendetta.

Il livello più alto, la cui esistenza viene confermata dalle recenti indagini, ha visto emergere personaggi carismatici che hanno presieduto una sorta di direttorio. L’ultimo sarebbe stato Tanino Tinnirello, il grande vecchio di Corso dei Mille, “la persona che è all’ombra di tutto”. I capi mandamento – da Brancaccio a Porta Nuova, da San Lorenzo a Santa Maria del Gesù – sapevano che “si succedi cosa” si dovevano rivolgere “o zu Taninu”. E Tinnirello avrebbe evitato che esplodesse una guerra fra i mafiosi di Brancaccio e quelli di Bagheria per mettere le mani su Villabate. Tinnirello è stato arrestato. Chi ha preso oggi il suo posto?

Tinnirello non è l’unico della vecchia guardia finito di nuovo nei guai. Perché i boss quasi sempre ritornano. A Santa Maria di Gesù, ad esempio, si erano rifatti vivi Salvatore Profeta e Natale Gambino, scarcerati perché ingiustamente condannati per la strage di via D’Amelio. Ci sarebbe la loro macabra regia dietro il delitto organizzato per punire Mirko Sciacchitano, un ragazzo colpevole di avere avuto un ruolo marginale in un precedente tentato omicidio. Altra vecchia conoscenza è Giuseppe Greco condannato nel processo Ghiaccio, libero per fine pena, e ora di nuovo in cella con l’accusa di avere perso le redini del mandamento. A proposito di scarcerati nel rione sono tornati in libertà Sandro Capizzi e Salvatore Adelfio. Mentre libero, nonostante il suo nome saltò fuori a più riprese nelle informative degli investigatori, è sempre stato Michele La Mattina, classe 1963. Gli investigatori lo piazzavano al vertice del mandamento. Avrebbe condiviso la reggenza con Calascibetta.

Il vecchio che avanza ci impone una riflessione che ci conduce al terzo livello.Un livello popolato da coloro che oggi rappresentano i nuovi mafiosi. Hanno cognomi pesanti che arrivano dal passato, ma è dal passato che hanno saputo smarcarsi. Hanno sfruttato i soldi mai sequestrati per ripulirli e oggi fanno affari in Sicilia e in giro per l’Italia. Trasporti, servizi, pulizie, carburanti, energie alternative: ci sono settori in cui vigono regimi di monopolio. I nuovi mafiosi probabilmente non si sporcano le mani. Non si mescolano ai boss dei polli (il pentito di Tommaso Natale Silvio Guererra ci racconta di essere intervenuto per stoppare la concorrenza di un rosticciere che incideva negativamente sulla vendita dei polli arrosto del figlio). Addirittura sembrerebbero disinteressati a ciò che fanno i nuovi mafiosi, impegnati come sono a fare soldi. A meno che non ci sia da discutere qualcosa talmente importante da farli scendere dal piedistallo di piccioli su cui sono saliti.


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