Mafia, i verbali del pentito: "Il nipote del boss e l'incontro con Cappello"

Mafia, i verbali del pentito: “Il nipote del boss e l’incontro con Cappello”

Le parole dell'ex reggente dei Cintorino Carmelo Porto

CATANIA – “Faccio parte del clan Cintorino dal 1991, ho conosciuto prima Giovanni Cintorino e poi il fratello Antonino, dopo la morte di Salvatore, all’epoca reggente di Calatabiano. Siamo stati insieme ad Antonino anche a Torino per conoscere Salvatore Cappello, all’epoca latitante”.

Carmelo Porto, l’ex reggente del clan Cintorino, è il collaboratore di giustizia che ha aiutato i magistrati delle procure di Catania e Messina a incastrare le nuove leve delle famiglie mafiose. Le indagini sono sfociate nel blitz eseguito da guardia di finanza e carabinieri, che ha portato a 39 arresti.

Carmelo Porto, il pentito

Negli anni ’90, con l’arresto del boss Nino Cintorino e l’omicidio del fratello Giovanni Cintorino, Carmelo Porto diventa il reggente del clan. È il 1994 e Porto inizia a governare un territorio da sempre ‘caro’ al clan Santapaola, quello che lambisce Giardini Naxos e Taormina.

Edilizia, estorsioni, movida e traffici di droga, a contendersi quelle aree sono i Brunetto collegati ai Santapaola e i Laudani. I Cintorino, nel frattempo, continuano a radicarsi.

Il collaboratore, nei verbali citati dalla Gip Simona Ragazzi, parte dall’incontro con il boss dei Cappello durante la latitanza e fornisce nuovi particolari, rispetto a quelli emersi dopo l’operazione Isola Bella.

L’incontro col boss Cappello

“Ho conosciuto prima Giovanni Cintorino – dice il collaboratore – e poi il fratello Antonino, dopo la morte di Salvatore Messina, all’epoca reggente di Calatabiano. Siamo stati insieme ad Antonino anche a Torino per conoscere Salvatore Cappello, all’epoca latitante. Poiché Torino non era sicura, ci siamo incontrati a Milano con i suddetti soggetti, nonché con altra persona intesa Barry White”.

Quell’incontro dà il via all’alleanza tra Turi Cappello e i Cintorino: al ritorno dalla trasferta ‘Nino’ è il boss di Calatabiano e Porto viene a consocenza di molti omicidi, dei quali – dice ai magistrati – conosce “autore e movente”.

Non a caso, con la scelta di collaborare con la giustizia, Porto confida agli inquirenti dove si trovano le armi del clan: nel 2019 scatta il sequestro di una parte dell’arsenale.

L’articolazione del clan

Porto parla delle nomine dei referenti fatte dal boss Nino Cintorino a Moio, Gaggi, Castiglione di Sicilia e Graniti. Gli affiliati lavoravano sotto il controllo del reggente a Calatabiano.

“A questi, infatti, per qualsiasi attività illecita i gruppi operanti nei suddetti comuni dovevano chiedere l’autorizzazione. Per fare un esempio, i referenti locali già sapevano che tutte le ditte presenti sul territorio per l’esecuzione di lavori dovevano essere sottoposte al pagamento di somme di tangenti. Quando in concreto tali ditte intervenivano per i lavori, noi di Calatabiano venivamo notiziati che le stesse erano state sottoposte ad estorsione”.

Le intimidazioni

Quando si trattava di piazzare bottiglie incendiare o gestire estorsioni, le disposizioni venivano impartite dai vertici dell’organizzazione.

I proventi andavano poi consegnati in parte ai referenti locali, che “raccoglievano i soldi ‘in loco’ – spiega Porto – e già sapevano essere destinati in parte alle spese degli avvocati ed al mantenimento dei detenuti del clan Cintorino. La cassa era unica ed era custodita dal reggente di Calatabiano (al momento libero e presente in paese”.

Elevata attendibilità

I magistrati parlano di una “elevata attendibilità” del collaboratore Porto, che “si fonda sulla sua affiliazione storica e sul suo ruolo apicale ricoperto, grazie al sostegno di Mario Pace, che gli hanno consentito di avere contatti anche con esponenti di altre famiglie mafiose”.

Porto si è autoaccusato degli omicidi risalenti alla guerra mafiosa con il clan Laudani, ha deposto nel processo a Carmelo Spinella per l’omicidio Mazzullo

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