PALERMO – “Forse abbiamo fatto troppa antimafia con i simboli. Maniaci non lo santificavo prima e non lo demonizzo ora”, diceva appena 24 ore fa l’avvocato Antonio Ingroia nella sua prima uscita da legale del direttore di Telejato, allontanato dalla sua Partinico per una brutta storia di presunte estorsioni nei confronti di due sindaci.
A proposito dei “simboli” di cui sopra: Ingroia sembra esserne attirato. A volte ha pure contribuito a renderli tali. Prendete Massimo Ciancimino che Ingroia, da procuratore aggiunto di Palermo, definì “una quasi icona dell’antimafia”. Ciancimino e Maniaci hanno qualcosa in comune, oltre alla dose simbolica da immaginetta sacra dell’antimafia, e cioè il pericolo patacca. A Caltanissetta e Bologna stanno processando Massimo Ciancimino per le presunte calunnie all’ex capo della polizia Gianni De Gennaro e all’agente dei Servizi segreti, Rosario Piraino. Qualche altra querela è stata annunciata per via di altre sue avventurose identificazioni del signor Franco, l’uomo nero della stagione delle Stragi.
Nel caso di Maniaci sono le intercettazioni a rivelare che una patacca l’ha già rifilata a giornalisti, organizzatori di premi, rappresentanti – a vario titolo – dell’antimafia dura e pura: ha spacciato l’uccisione dei suoi cani, fatto spregevole ma strettamente privato, per un’intimidazione mafiosa utile ad accrescere la sua “potenza”. Sul punto le intercettazioni non lasciano spazio a dubbi o interpretazioni. Forse è per questo che Ingroia ha spiegato che “bisogna ben distinguere i due piani: giuridico e etico”. E su questo ha ragione.
Lui fa l’avvocato, mica si occupa di simboli dell’Antimafia. Con una precisazione, però. Quando si seppe che Maniaci era indagato – non ancora raggiunto dal divieto di dimora – Ingroia disse di avere “accettato di difendere Pino Maniaci mesi fa, quando l’avvocato Cappellano Seminara preannunciò nei suoi confronti una denuncia per stalking dopo alcune inchieste giornalistiche che Maniaci aveva realizzato. Il conferimento dell’incarico è stata dunque la naturale conseguenza del fatto che Maniaci come giornalista e io come avvocato abbiamo condotto, in questi mesi, la stessa battaglia per la verità sul caso Saguto e l’indagine attorno alla gestione dei beni sequestrati che ha travolto la sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo”.
Domani Ingroia e l’altro avvocato del collegio difensivo, Bartolomeo Parrino, assieme a Maniaci hanno convocato una conferenza stampa. Prima, però, devono fare tappa al Palazzo di giustizia dove l’indagato avrà modo di discolparsi davanti ai pubblici ministeri. Quegli stessi pubblici ministeri che, secondo Ingroia, hanno avuto “una caduta di stile nell’accomunare il nome di Maniaci a quello dei mafiosi” arrestati nel blitz. Se escludiamo il procuratore Lo Voi e l’aggiunto Teresi, la “tirata d’orecchi” è per i quattro sostituti che lui conosce bene, visto che hanno lavorato tutti sotto il suo coordinamento quando era ancora aggiunto. Poi, si sposteranno nello studio dell’avvocato Parrino per confrontarsi con i giornalisti colpevoli, a loro dire, di avere già crocifisso il collega Maniaci.