Mattarella, il palermitano atipico | Gli applausi al presidente gentile

Mattarella, il palermitano atipico | Gli applausi al presidente gentile

Il presidente alla Scala (foto da facebook)

Perché in ogni gesto del Presidente c'è l'antidoto al veleno dei tempi. Gli applausi alla Scala.

Il personaggio
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Sergio Mattarella, palermitano, Presidente della Repubblica, uomo schivo, nel catalogo di coloro che assursero alla più alta carica, rappresenta il sorriso che non si arrende, la necessaria rivoluzione della gentilezza. E ce ne siamo resi finalmente conto in abbondanza, come testimonia l’ovazione scaligera riportata da tutti.

Ogni Capo dello Stato risponde a una domanda che nessuno ha posto chiaramente, eppure esiste, durante il tempo trascorso nei notiziari della sera. Pertini era la pipa cordialmente spenta, la mano levata al gol di Tardelli, il verso di una canzone di Toto Cutugno: la retorica nazional-popolare che consolava. Ciampi era l’esaltazione discreta del focolare, con l’inseparabile donna Franca, il rigore dell’uomo di studio e di pensiero, mitigato dalla bonomia: la solennità dell’istituzione con una fresca tinteggiatura di familiarità toscana.

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, invece, ha i lineamenti del garbo che si oppone alla ferocia, senza rinunciare mai alla fermezza, alle ragioni della propria legittimità.

Sono giorni dai denti aguzzi. La parola mite è considerata vile. L’accoglienza suona alla stregua di una bestemmia. I valori della tolleranza sembrano prodotti di scarto. E’ tutto un fiorire di repliche e controrepliche, di polemiche e comunicati sguainati, di social che si arroventano, attizzati dai professionisti dell’insulto. Tutto un guardarsi reciprocamente in cagnesco senza sapere bene perché. Questo Presidente, nel gesto e nelle affermazioni, quotidianamente, versa una goccia di antidoto al veleno della rabbia.

E quando prende in braccio una bambina, nel corso di una visita a un reparto di neuropsichiatria, non si lascia soltanto andare alla tenerezza consueta per uno che è padre e nonno: consegna un’immagine che rassereni, un segnale di distensione dei nervi, la notizia che la guerra potrebbe finire pure domani, basterebbe volerlo. E quando dice: “Un Paese dove si spezzano i fili che uniscono le persone minando la coesione sociale è un Paese impaurito e fragile”, ci mette in guardia contro le ombre che generano paura ben oltre la sostanza delle cose.

Quando difende l’informazione, non si traveste da partigiano per forza di tutti i giornalisti, buoni o cattivi che siano, rammenta che ci sono confini da non varcare, per mantenere gli equilibri. Quando ricorda le connessioni tra l’apatia dei cittadini e l’instaurazione dei regimi, il Presidente unisce certi preoccupanti punti che sembrerebbero distanti ed ecco che appare subito, in trasparenza, il disegno di un terrore dimenticato. Quando si pronuncia sui diritti dei disabili, il Capo dello Stato, sotterraneamente, lotta contro l’indifferenza crudele dei normodotati che aggiunge dolore al dolore.

Le dentature acuminate mordono e straziano? Le armate del rancore invadono ormai ogni spazio disponibile, dove prima era possibile respirare a pieni polmoni? L’indulgenza dei civili che ancora resistono viene sopraffatta dalla tracotanza delle orde barbariche? C’è ‘Sergio’, con la sua lentezza studiata e il suo protocollo soffice. Il contravveleno di un’epoca intossicata. Un caposaldo che emerge nel caos, una calamita che attira polvere d’affetto e di stima, come è accaduto proprio alla Scala con il lunghissimo applauso in occasione della prima.

Il Capo dello Stato, oltretutto, ha il pedigree straniero in patria di un palermitano atipico. Uno col suo profilo non c’entra niente con una città orrenda nelle sue inciviltà, capitale della vastasaria, dell’arroganza, delle macchine in seconda fila, della munnizza, delle ruote sui passaggi pedonali, della voce che strepita e che pretende ragione in forza del suo volume.

Tuttavia, Palermo è piena di palermitani così e sono tantissimi, anche se non escono allo scoperto quasi mai. Atipici e stranieri, appunto. Extracomunitari della loro stessa nascita. Esiliati da una folla che non li capisce. Minimali e residui. Invisibili. Ogni tanto, però, costoro, per quanto reconditi e carbonari, riescono a prendersi una clamorosa rivincita, dimostrando che la gentilezza accompagna soltanto i migliori di noi. E qualcuno diventa perfino Presidente della Repubblica.

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