L’ultima retata questa settimana. L’ennesimo titolo sul cerchio che si stringe attorno a Matteo Messina Denaro. Sì, ma quanto ancora potrà stringersi questo cerchio? Da anni gli inquirenti fanno tabula rasa dei presunti fiancheggiatori della primula rossa della mafia. Da anni, il boss di Castelvetrano resta latitante. Dal 1993, per la precisione. Venticinque anni, un quarto di secolo di beffe della giustizia. Come è possibile farla franca per tanto tempo malgrado gli arresti a iosa di personaggi che sarebbero legati al suo entourage?
Alfonso Sabella ha posto fine alla latitanza di diversi boss. Il magistrato siciliano ha raccolto i ricordi della sua attività di caccia all’uomo negli anni alla procura di Palermo nel libro Cacciatore di mafiosi, che è diventato anche una fiction di successo sulla Rai, Il cacciatore. Oggi Sabella si occupa d’altro, è giudice a Napoli dopo una parentesi da assessore al comune di Roma. E su Messina Denaro, a cui per tutta l’intervista si riferisce chiamandolo solo per nome, Matteo, si è fatto una sua idea, pur non avendogli mai dato la caccia per ragioni di competenza territoriale.
Dottore Sabella, la domanda che l’uomo della strada si pone, per farla semplice, è perché non si riesce proprio a prendere Messina Denaro?
“Nel periodo in cui sono stato a Palermo non mi sono mai occupato delle ricerche di Messina Denaro perché non era nel mio territorio di competenza. Arrivarono notizie di un suo passaggio a Palermo ma lui poi intelligentemente capì che era meglio un atteggiamento più defilato. Perché non si riesce a catturarlo? Ci sono diversi tipi di latitanti…”.
Cioè?
“Ci sono latitanti che si muovono molto perché hanno bisogno di farsi vedere. Bagarella lo abbiamo arrestato seguendo il suo autista ma avremo avuto altre chiavi d’accesso. Brusca limitò i suoi contatti a uno solo, avendo capito il pericolo, ma non ha interrotto mai i rapporti con San Giuseppe Jato. Certo è stato più complicato di Bagarella. Per Vito Vitale è stata una impresa faticosa perché si muoveva sempre e quando lo agganciavamo poi lo perdevamo. Pietro Aglieri aveva limitato molto i movimenti e aveva un solo contatto. Ma il giorno in cui lo arrestiamo troviamo con lui altri mafiosi”.
E Messina Denaro?
“Per quello che ho potuto capire ha fatto una scelta molto diversa. Cioè rinunciare a ogni tipo di tecnologia e mantenere un solo contatto ma, a differenza di Provenzano, non esitare a lasciare il suo territorio, cosa che ai miei tempi non avveniva”.
Ma qual è a suo parere l’effettivo peso di Messina Denaro in Cosa nostra? Ne è il capo come ha ipotizzato qualcuno?
“Secondo me Matteo non è il capo di Cosa nostra. È una mia idea. Secondo me, quello che resta di Cosa nostra è in mano alle famiglie di Palermo che stanno governando con una commissione ridotta in attesa di una riorganizzazione. Matteo il capo non lo è mai stato. Perché dopo i viddani di Corleone, i palermitani non potranno più permettere che un non palermitano arrivi al vertice di Cosa nostra. Poi Matteo Messina Denaro è sicuramente il leader indiscusso del suo territorio, il Trapanese oltre, ha fatto quella timida apparizione a Palermo dopo la cattura di Vitale, ma ha stretto un patto di non belligeranza con Provenzano. Quindi è molto complicato da arrestare. Non si muove sul territorio, non ha un ruolo particolarmente attivo nelle dinamiche globali di Cosa nostra, dove resta un personaggio di prestigio ma non è al vertice. E poi da quel che ho capito dalle inchieste giornalistiche ha tempi molto lunghi di reazione. Cosa che chi è operativo non può permettersi. Questi complica la vita agli investigatori. Se individuo un postino non so quando porta la risposta perché passano mesi”.
Insomma, c’è più di un elemento che complica il lavoro di chi gli dà la caccia…
“Matteo tra l’altro aveva qualche rapporto un po’ strano con personaggi legati al mondo dei servizi. Ma questo è più nel mito che nella realtà, è emerso poco. Potrebbe avere qualche forma di protezione magari, ma nessuna forma di protezione può tenere un latitante al sicuro”.
Ma quando a uno a uno gli vengono arrestati parenti e sodali, come fa un latitante a tirare avanti?
“Dipende, se non hai contatti… a Brusca io feci terra bruciata attorno, gli lasciai solo un canale aperto a San Giuseppe Jato. Ma Brusca aveva contatti quotidiani con il suo paese. Tutte le sere dalle otto alle otto e mezza chiamava al telefono e gestiva gli affari del suo territorio. Matteo non credo che faccia così, avrà un suo luogotenente con cui non avrà neanche contatti frequenti. Se è un canale insospettabile, è molto difficile prenderlo. Lui ha capito che non gli conveniva essere il capo di Cosa Nostra, rischiava una guerra coi palermitani, gestisce il suo territorio col suo prestigio. Non disdegna puntate o forse una sua permanenza fissa fuori del suo territorio”.
Ma quanto è effettivamente pericoloso Messina Denaro?
“Bisogna capire più che altro quant’è pericolosa Cosa nostra oggi. Io credo che Cosa nostra oggi sia molto meno pericolosa di ‘ndrangheta e camorra. Cosa nostra non ha la forza di sfidare lo Stato. La camorra è pericolosa sul piano dell’ordine pubblico, la ‘ndrangheta è la più potente, Cosa nostra è certamente attiva ma oggi come oggi viene al terzo posto nell’ordine di pericolosità. Dunque Matteo ha sicuramente un passato da pericolo pubblico numero uno, ha partecipato ai piani criminali più gravi della storia del mostro paese. Ha partecipato anche in prima persona al tentato omicidio di Germanà. Oggi non lo farebbe mai. Dobbiamo dirlo: in quegli anni il potere militare della mafia lo abbiamo ridotto ai minimi termini”.